Cultura
Arpino e la sua opera
a 30 anni dalla morte
Trent’anni fa, proprio il 10 dicembre, moriva Giovanni Arpino. Ed è l’occasione per segnalare la disattenzione se non il silenzio sulla sua opera. Nelle ricorrernti celebrazioni e sagre che intendono ribadire o rinverdire la durata di uno scrittore, non figura da tempo il suo nome. Neanche il mondo sportivo, che lo vide cronista partecipe e animoso in gara con Gianni Brera, sembra ricordarsi di lui. Ma non c’è incalzare di mode o presunzione di nuovi, effimeri talenti che possa attentare alla sua grandezza di scrittore.
Nessuno dei suoi coetanei ha saputo essere come lui testimone del proprio tempo. Non soltanto attraverso le staffilate da moralista inferte negli articoli pubblicati su questo giornale, ma con la creatività espressa nei numerosi romanzi. Arpino è uno scrittore che ama calpestare la polvere della cronaca, di una cronaca che si fa storia. I suoi romanzi possono prendere pretesto da una tornata elettorale in una arcaica provincia piemontese o registrare la crisi dell’operaismo torinese mentre si avvertono i primi sintomi del benessere economico. Recuperano la memoria di un’epica paesana intormentita dalle lacerazioni della guerra civile, colgono al volo l’ultimo dibattito che scuote la società, si tratti della droga o dell’eutanasia. Testimoniano in un acceso confronto tra vecchi e giovani il degrado civile e morale delle nostre città, proiettandosi con largo anticipo sul presente. Muovendosi entro i confini di ariose colline (Bra e il Roero in cui Arpino è cresciuto) e di una Torino rappresentata con nitore nelle sue luci e nelle sue ombre. Dove il riscatto dalla semplice «tranche de vie» viene perseguito sperimentando, nella torsione del linguaggio, una tastiera stilistica che trascorre dall’esemplarità epica alla favola picaresca, al brivido surreale. La nativa, generosa esuberanza di Arpino, che di tutto fa racconto, invita a discernere ma non compromette l’altezza di certi risultati. Balzano di primo acchito alla memoria titoli come «La suora giovane», «L’ombra delle colline», «Il fratello italiano». Tra i molti scrittori che onorano la letteratura italiana nata in Piemonte nel secondo Novecento, accanto a Pavese e Fenoglio si colloca con piena dignità anche Giovanni Arpino. È un merito che gli va riconosciuto, in particolare da chi condivide il suo affetto per questa terra e scoprirà ancora in lui una voce fraterna.
Lorenzo
Mondo