ebook di Fulvio Romano

venerdì 1 dicembre 2017

Argentina e desaparecidos Condannati all’ergastolo i piloti dei “voli della morte”

LA STAMPA

Esteri

Argentina e desaparecidos

Condannati all’ergastolo

i piloti dei “voli della morte” 

Storica sentenza contro 48 ufficiali della dittatura

La battaglia dei figli di ex militari liberi: processateli

Un urlo collettivo e catartico. Abbracci. Lacrime di gioia. Il giudice ha appena finito di leggere la sentenza che ha condannato 48 imputati per i crimini commessi durante la dittatura argentina (1976-1983). Le immagini scorrono sul maxi schermo fuori dal tribunale di Buenos Aires. La folla di familiari delle vittime, sopravvissuti e attivisti per i diritti umani esulta. Una scena che si ripete per oltre tre ore - la durata della lettura delle sentenze: 29 ergastoli, 19 condanne dagli 8 ai 25 anni - scandita da cori: «Finirete come i nazisti, ovunque fuggirete vi verremo a cercare». 

Quella di mercoledì è una sentenza storica, dopo cinque anni di udienze, nel più importante processo contro la dittatura: la maxi causa dell’Esma, la famigerata Escuela mecanica della Marina trasformata in un centro di tortura. Tra i condannati per sequestri, torture e omicidi c’è Alfredo Astiz, soprannominato l’«angelo della Morte», già in carcere per un precedente ergastolo. Nel 1977 si infiltrò tra le Madres di plaza de Mayo, le donne in cerca dei figli desaparecidos, fornendo informazioni all’intelligence. Tre fondatrici dell’associazione, tra cui Esther Ballestrino, amica di Papa Francesco, due monache francesi e altri 7 attivisti vennero rapiti e uccisi. 

Ma la condanna che passerà alla storia è quella contro Mario Daniel Arrù e Alejandro Domingo D’Agostino, due piloti dei cosiddetti «voli della morte». Un metodo di sterminio con cui la dittatura uccise 4 mila persone. I prigionieri politici venivano drogati – «Tranquilli, andate in un centro di recupero», veniva loro sussurrato – prima di essere caricati sugli aerei e gettati, ancora in vita, nell’Atlantico. 

Mercoledì sei persone sono state assolte, molte altre non sono mai state processate. Come Julio Verna, ex medico che anestetizzava col Pentotal gli oppositori prima dei «voli della morte». Dopo anni di silenzio ha confessato i suoi crimini al figlio Pablo. Lui, un legale 44enne, ha tentato di portarlo in tribunale. Ma il codice penale argentino vieta ai figli di testimoniare contro il proprio padre. Per questo Pablo Verna ha presentato al Congresso un disegno di legge per modificarlo: «Oggi le mie accuse valgono zero». Per la sua battaglia si è unito a un collettivo di figli di ex militari, Historias Desobedientes, che chiedono di processare i padri a piede libero. 

Del gruppo fanno parte 40 persone. In comune hanno il cognome macchiato dal sangue e un senso di colpa difficile da cancellare. «Mio padre massacrava di botte mia mamma e io mi chiedevo: “Se tratta così i suoi familiari, cosa può fare agli sconosciuti?”», racconta Laura Delgadillo, 50 anni. Il padre è morto da uomo libero. Prima di andarsene ha pronunciato parole che la figlia ancora non decifra: «Mi ha chiesto scusa: non ho mai capito se per le violenze in famiglia o per le atrocità commesse». 

La dittatura ha creato una frattura profondissima. Carnefici da una parte, vittime dall’altra. Historias Desobedientes ha scardinato questa logica. «Siamo il pezzo mancante della storia argentina - dice Patricia Isasa, 57 anni - Una crepa in questo tragico mosaico». I figli che rompono il patto del silenzio dei padri militari. 

«È spaventoso pensare che mio papà impugnasse gli elettrodi per la tortura con le stesse mani con cui mi accarezzava», racconta Analía, 34 anni, figlia di Eduardo Kalinec. Per tutti era Dottor K, uno dei più feroci aguzzini, condannato all’ergastolo nel 2010. «All’inizio non sapevo, poi non volevo vedere, alla fine ho aperto gli occhi», spiega Analia. 

Nessuno dei militari si è pentito, né ha aiutato a trovare le fosse comuni dei desaparecidos. «“Io ho difeso la patria”, ripeteva mio padre», dice Analia. Il suo coraggio è stato un affronto imperdonabile per la famiglia. «Tutti hanno smesso di parlarmi per difendere il papà». Ma non si è pentita. «Io la notte dormo serena, mio padre deve prendere sonniferi per zittire i fantasmi che lo tormentano». 

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filippo femia


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