ebook di Fulvio Romano

giovedì 7 dicembre 2017

Gli eroici contadini di Ponza Sui sentieri verso il cielo a dorso d’asino

LA STAMPA

Italia

Gli eroici contadini di Ponza

Sui sentieri verso il cielo a dorso d’asino 

I pochi agricoltori rimasti producono il vino con la stessa fatica di tre secoli fa 

«Agricoltura eroica? Questa è agricoltura da pazzi!» 

Sono le 5 di mattina, sull’isola di Ponza tira una tramontana che entra nelle ossa, gli asini sono appena usciti dal recinto. Davanti a loro e agli uomini che li accompagnano si apre una lunga e ripida salita rischiarata solo dalla luce delle torce e dalla linea lontana della costa. Antonio alza il bavero del giaccone e inizia l’ascesa.

Come dargli torto? Sembra una follia arrampicarsi tra rocce e cespugli mentre il resto dell’isola dorme, per andare a prendere il vino vendemmiato a settembre in un angolo di Ponza raggiungibile a piedi o con gli asini. Sembra impossibile che nel 2017 si debba ancora trasportare le taniche di plastica con la stessa fatica di tre secoli fa, quando Carlo di Borbone decise di mandare a Ponza i coloni di Ischia con le loro viti e la loro arte. La loro fu una vita felice e dignitosa fino alla fine della Seconda guerra mondiale quando l’economia subì una tale accelerazione da trasformare ogni forma di agricoltura priva di tecnologia in un atto di coraggio estremo. Contadini eroici li chiamano, infatti, al giorno d’oggi quelli che si ostinano a coltivare in zone dove non possono arrivare macchinari e quindi le tecniche restano identiche nel tempo.

Come tutti gli eroi sono una minoranza. A Ponza è rimasta un’ultima azienda a produrre vino, le Antiche Cantine Migliaccio, di proprietà del pronipote di uno dei coloni spediti a Ponza da Carlo di Borbone. Emanuele Vittorio Migliaccio, ha 79 anni e uno studio dentistico ben avviato a Napoli. All’inizio degli Anni 90 decise con la moglie Luciana Sabino di ridare vita alle terre di famiglia che rischiavano l’abbandono come tante altre su un’isola sempre più attratta dai guadagni facili e rapidi del turismo estivo. Dentista lui, insegnante di inglese lei, nessuno dei due sapeva molto di vino ma a trent’anni dall’inizio del loro viaggio indietro nel tempo quella che sembrava una scommessa è una partita vinta , anche se a costo di enormi sacrifici, quelli che alle 5 di un mattino gelido fanno dire ad Antonio che è un’«agricoltura da pazzi». 

In realtà il primo «pazzo» è proprio Antonio. Ha 59 anni, a Ponza lo chiamano «Spaccamontagne» perché delle pietre dell’isola conosce ogni venatura: sa come farsi strada tra le rocce più dure per separarle in sassi e come trasformare un cumulo informe di un muretto crollato in un’opera d’arte capace di disegnare il profilo delle colline e soprattutto di difenderle. Ponza è un’isola fragile, negli ultimi anni molti sono stati i crolli, in qualche caso anche con vittime. 

Ha iniziato a spaccare le montagne da ragazzo, seguendo le orme del padre. «Lui sì che spaccava le montagne, ma era dovuto emigrare per mantenere la famiglia», racconta. Antonio no, è sempre rimasto a Ponza. «Se mi piace questo lavoro? Abbastanza», ammette con discrezione contadina. «E’ un lavoro da pazzi ma quando non ci sarà più il “dottore” a occuparsi di quest’azienda i terreni saranno di nuovo abbandonati». 

Il secondo pazzo si chiama Salvatore ma tutti lo chiamano «Bertinotti» per lo stesso motivo per cui indossa un berretto di lana con il volto del Che per proteggersi dal freddo. E’ il cantiniere, l’uomo che vive tra i profumi sprigionati dal mosto che diventa vino. «E’ un lavoro faticoso ma quando fai qualcosa che ti piace la stanchezza non ti pesa», racconta mentre con un lungo bastone pulisce le botti appena svuotate e aspetta il ritorno degli asini per il secondo carico di vino da portare a valle. Lui riempie e svuota taniche e botti, controlla che la maturazione proceda nel migliore dei modi.

I più matti di tutti chiaramente sono Emanuele e Luciana che dal nulla hanno fatto rinascere il vino dei Borbone: «Dopo di noi? Speriamo di lasciare un’azienda che sia in grado di mantenersi in modo che questo pezzo di Ponza non sia mai più abbandonato». 

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