ebook di Fulvio Romano

domenica 10 dicembre 2017

L’irresistibile ascesa delle criptovalute

LA STAMPA

Italia

L’irresistibile ascesa delle criptovalute

dietro la crisi delle Banche centrali

Analisti divisi: Jp Morgan boccia le banconote virtuali ma poi le compra

Solo il futuro ci dirà se sono da paragonare all’oro o ai tulipani olandesi

«Posso calcolare i movimenti delle stelle, non la follia degli uomini»: così, nel 1722 , il geniale astronomo Isaac Newton commentò il crollo in Borsa della South Sea Company, nata nel 1711 per commerciare, soprattutto in schiavi.

Dal gennaio all’agosto del 1720 il titolo salì da 128 a 1000, e tutta Londra, compreso Newton che investì 22.000 sterline, sperò di arricchirsi. A settembre, tra falsari e corruttori, South Sea crollò a quota 124, rovinando City e governo. La lontana vicenda è ora paragonata all’ascesa formidabile dei bitcoin, moneta elettronica passata dal valore di circa mille dollari pochi mesi fa, ai circa 14.500 dollari di ieri. Chi l’ha comprata in tempo se ne vanta, chi ne è rimasto fuori si morde le dita e spera di rientrare, scommettendo su una nuova fiammata. Che fare? Comprare o no? Fidarsi della moneta digitale o starne alla larga come dai titoli Mare del Sud nel XVIII secolo? Il lettore che cercasse di informarsi se, e come, investire in bitcoin i sudati risparmi, resterebbe perplesso, perché, come sempre nel digitale, Vero&Falso si intrecciano. 

Se il Chicago Mercantile Exchange, la storica Borsa dei contratti «futures», annuncia, senza dubbi, che comincerà ad usare bitcoin, come non partecipare alla corsa all’oro coniato in bit? L’economista Noriel Roubini raffredda gli entusiasmi, «Bitcoin? Bolla speculativa che aspetta solo di scoppiare». Jamie Dimon, amministratore del colosso finanziario JpMorgan Chase, in ottobre si allinea a Roubini «Non mi importa a quanto si vendano bitcoin, come si comprino e chi li venda, perché o a chi. Se siete così stupidi da comprarne, pagherete il prezzo, prima o poi. Licenzierò il primo dei miei broker che becco a trattarli».

Peccato però che ZeroHedge, blog finanziario anonimo che a volte ci prende, a volte diffonde notizie pro Cremlino, non accusi subito JpMorgan di avere in cassaforte informatica un bel po’ di bitcoin, e che, appena quaranta giorni dopo la stentorea bocciatura di Dimon, gli analisti di Bloomberg confermino che anche JPMorgan debutta nel trattare bitcoin, sia pure solo «facilitando» contratti futures via il Cme Group Inc. Non è ancora marcia indietro, ma gli «stupidi» disprezzati da Dimon sono folla ormai, come lasciarli alla concorrenza?

Boom, speculazione o bolla che sia, nascono intanto altre criptovalute, il Litecoin, considerato «argento» contro «l’oro» bitcoin, coniato nel 2011 da Charles Lee, ex Mit e Google, o i contratti «smart» di Ethereum, nati nel 2015 e già con un mercato stimato a 35 miliardi di euro, secondo nelle monete digitali solo ai bitcoin originari. Fidarsi o no, dunque, della zecca di coin, fondata nel 2009 da informatici sconosciuti, raccolti sotto lo pseudonimo Satoshi Nakatomo? Prima di fare un’ipoteca sulla casa e investirla in bitcoin, val la pena comprendere il concetto chiave di blockchain, che sta alla base di tante transazioni digitali in varie comunità. Blockchain è la rete che raccoglie, verifica e autorizza le transazioni in bitcoin, bloccando quelle insostenibili, approvando quelle legittime, in un processo sempre trasparente agli utenti con accesso al meccanismo. Bitcoin nasce dalla sfiducia nelle banche dopo la crisi 2008 – il nostro dibattito su Bankitalia quanti bitcoinisti sta arruolando? – e offre moneta digitale per comprare un bene, senza intermediari, con venditore e acquirente che vengono, passo passo, legittimati a vicenda dalla rete di appartenenza. Chiave è la crittografia, cui gli utenti abilitati accedono via codici personali. Un ledger, libro mastro, di ogni transazione, è custodito da tutti i membri della «catena», ciascuno garante della sostenibilità complessiva del sistema. Chi investe in bitcoin respinge le accuse di «Catena di Sant’Antonio della frode», o di «schema Ponzi», dal nome dell’ex studente della Sapienza di Roma Charles Ponzi che negli Anni Venti truffò 40.000 persone in America: a render tutto trasparente è proprio blockchain, perché gli utenti si controllano a vicenda, creando una comunità dove il contratto virtuoso elide quello a rischio. I tecnici che risolvono i problemi più spinosi, con algoritmi di mercato o giuridici, possono venir remunerati in bitcoin, allargando l’area di «liquidità», se così possiamo definirla, e garantendo che i bitcoin non vengano spesi due volte.

Vi fidate? Vi ha persuaso il Chicago Mercantile, Roubini, o siete in bilico come Dimon? Nessuna certezza esiste sui bitcoin e chi ve la offrisse, pro o contro, spara nel buio. Nel riflettere, mettete a fuoco blockchain, comunità digitale che cresce su fiducia e garanzie mutuali. Se anche i bitcoin fallissero come la Compagnia Mari del Sud tre secoli or sono, blockchain non finirà, come la Borsa sopravvisse al crack dei tempi di Newton. Blockchain è strumento comunitario, libero da intermediazioni, e nel nostro scettico tempo digitale potrebbe rivelarsi una rivoluzione.

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gianni riotta


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