ebook di Fulvio Romano

domenica 10 dicembre 2017

Difendiamo i giornali dai neofascisti (Zagrebelsky)

LA STAMPA

Cultura

Difendiamo i giornali dai neofascisti

L’attacco messo in scena contro la Repubblica da una squadra di contestatori sotto la bandiera di Forza Nuova viene pochi giorni dopo l’irruzione a Como di membri di un Fronte Skinhead nella sede di un’associazione che si occupa di assistere migranti in difficoltà. Linguaggio e condotta richiamano prassi fasciste. E a fascismo e nazismo, nei simboli e nelle azioni, esplicitamente si richiamano ormai numerose organizzazioni di estrema destra, oltre che gruppi di tifosi che si ritrovano negli stadi di calcio. Non è da dimenticare il recente ignobile uso del ritratto di Anna Frank per ingiuriare la squadra avversaria.

La situazione diviene grave, anche perché trova riscontro altrove, specialmente all’Est dell’Unione Europea, dove si pratica la «democrazia illiberale» e gruppi di nazionalismo violento hanno libero corso. È inaccettabile la minimizzazione, che talora viene proposta da esponenti della destra politica. Non si tratta di criticabili ragazzate. 

Gli aggressori di Repubblica, con la loro «dichiarazione di guerra», dicono di rappresentare oggi ogni italiano, tradito da chi con la penna favorisce la legge sul cosiddetto Ius soli, l’invasione e la sostituzione etnica, con il genocidio del popolo italiano. Con questo linguaggio essi promettono di difendere Roma e l’Italia se necessario a calci e pugni. Anche con la violenza, dunque. 

Colpisce e offende che costoro pretendano di rappresentare e difendere l’Italia, interpretandone l’identità e le radici storiche. Chi li ha delegati? E poi, quali radici? L’identità nazionale è pluralistica, impossibile da definire unitariamente, frutto di sedimenti storici contraddittori. Affrontando il tema dei migranti, vi è chi contesta loro di esser diversi dalla maggioranza per cultura e religione. Ma quale è in proposito l’identità nazionale italiana? Trova essa radici nel Piemonte che operava per unificare l’Italia e fino alle rivoluzioni europee del 1848 teneva ebrei e valdesi privi di diritti civili? O più recentemente, nell’Italia che, compiacendo l’alleato nazista, introduceva nel 1938 le leggi razziali che cacciarono dalle scuole studenti e professori ebrei? Oppure, al contrario e in contrapposizione a quel passato, la nostra identità si trova nella drastica rottura rappresentata dalla Costituzione e dalla adesione all’Unione europea? Nella Repubblica, cioè, che, secondo Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, l’uguaglianza, la libertà religiosa, la libertà di stampa?

C’è da chiedersi quale risultato abbia avuto il lavoro culturale svolto dalla scuola, quali credibili indicazioni siano venute dalle istituzioni politiche della Repubblica. L’eco che accompagna le azioni dei gruppi come quello che ha contestato il giornale Repubblicasarebbe trascurabile se non trovasse terreno fertile. Vi è un contesto pericoloso: da tempo, larghi settori della vita politica hanno adottato un linguaggio violento e sprezzante anche e specificamente nei confronti dei media e di singoli giornalisti, arrivando a pubblicare liste di proscrizione. L’esempio di Grillo non è il solo. 

La riforma della legge sulla cittadinanza, che il Parlamento dovrebbe impegnarsi ad approvare, la vuole riconoscere ai figli di immigrati regolari, che sono nati in Italia o in Italia hanno frequentato le scuole. Niente a che vedere con l’invasione o addirittura la sostituzione etnica. Si tratta di una proposta in linea con la Costituzione e nell’interesse dell’Italia. In ogni caso essa riflette una posizione politica legittima, soggetta alla discussione, non all’aggressione.

Il pluralismo culturale, di costumi, opinioni, stili di vita e religioni è da tempo dentro le società europee, indipendentemente dal fenomeno immigratorio. La libertà di stampa, la libertà dei giornali serve a esprimerlo, difenderlo, renderlo utile.

È certo benvenuta l’immediata solidarietà manifestata dal governo a Repubblica, ma non basta, così come non basterebbe l’azione di polizia promessa dal ministro dell’Interno. Si faccia sapere ai giovani, che l’ignorano, dove le idee di quei gruppi hanno portato l’Italia e l’Europa. L’impegno necessario è di ampio respiro e di lungo periodo.

Tra i tanti episodi che si succedono, spicca per gravità quello contro la Repubblica, che, come questo giornale, si colloca chiaramente nel quadro dei valori costituzionali. La funzione pubblica della discussione dei temi della società, che i media svolgono liberamente, li colloca tra le essenziali istituzioni repubblicane. Essi sono strumenti ineludibili della formazione ed evoluzione dell’opinione pubblica, la quale a sua volta fa sì che le forme della democrazia e in particolare le elezioni non siano vuote di contenuto. In Italia, anche sul tema dell’immigrazione, le posizioni difese dai giornali sono le più varie. Da un lato l’orientamento della Repubblica non è isolato e dall’altro le posizioni opposte non sono relegate in un angolo. 

Per l’obiettivo scelto e il motivo dichiarato, l’aggressione a Repubblica non è dunque solo aggressione ad un giornale, è un attacco alla libertà di stampa, alla libertà di tutti, alla democrazia. 

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Vladimiro Zagrebelsky


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