Cultura
Non ci sono più
le galline di una volta
«Le galline di oggi non sanno più covare», sostiene Riccardo Fortina che insegna Nutrizione e Alimentazione animale alla facoltà di Agraria dell’università di Torino. Sta scherzando? «No, purtroppo. Sono delle macchine da uovo - alcune arrivano a 330 uova l’anno, quasi una al giorno - e hanno perso l’istinto delle galline normali. Ormoni, ritmo pazzesco. Se dovessero covarle tutte diventerebbero pazze, quindi le lasciano lì e vengono prese per essere l’indomani vendute al supermercato. Invece, la nostra vecchia gallina autoctona non solo covava ma poteva fare anche la chioccia. Cose di nessun interesse? Chi ci dice che, magari fra 30 anni, non avremo di nuovo bisogno del loro istinto alla cova?».
Sbagliato pensare che Fortina, 58 anni, ex presidente di Wwf Piemonte e Valle d’Aosta, appartenga alla specie del fanatico animalista. Quelli che, come ogni anno, protestano contro chi mangia a Pasqua l’agnello o il capretto. «Li capisco, però non è questo il vero problema. Certo, in Italia mangiamo troppa carne - circa 90 chili a testa l’anno - è evidente che bisogna ridurre almeno di un terzo. Ma non sono contro il consumo di carne o di prodotti d’origine animale. Anzi. È dal loro utilizzo che dipendono l’allevamento e la sopravvivenza di centinaia di razze domestiche che sono sempre più insidiate da quelle poche, superselezionate e superproduttive razze cosmopolite. Esempio: in Italia su 100 litri di latte 98 vengono dalla Frisona, la razza olandese ormai diffusa in tutto il mondo. Tutto lo stesso, altro che formaggi tipici! La difesa e conservazione della biodiversità animale in agricoltura è la vera battaglia».
Fondatore di Rare, l’associazione di studiosi e allevatori presieduta dal genetista Daniele Bigi che si batte per salvare le razze autoctone a rischio d’estinzione, Fortina racconta di mega allevamenti di polli («Non hanno nome, sono ibridi con sigle numeriche, tipo: JK25») e di vitellini dalla carne bianca perché nutriti solo a latte e un po’ di cereali («Risultato: diarrea e relativi antibiotici»). Barbarie. Non stanno meglio gli altri animali ritenuti meno validi per il mercato. «Nel mondo ogni settimana perdiamo 2 razze autoctone. In Italia - Paese dal ricco patrimonio zootecnico - 130 su 155 razze di mammiferi lottano per la sopravvivenza. Dal dopoguerra già 50 razze sono sparite. Con la meccanizzazione dell’agricoltura hanno sofferto soprattutto gli asini ma anche le razze suine sono scese da 23 a 5. Abbiamo perso, tra le altre, il maiale di Cavour e quello di Garlasco. I nostri erano maiali neri, sono stati sostituiti da quelli rosa del Nord Europa.
Quanto alle mucche è scomparsa, per esempio, la razza Pasturina (simile alla Chianina): troppo grande, mangiava troppo. Sopravvivono pochi esemplari di Pontremolese: non serve a fare né latte né carne ma è la vacca che, dai tempi di Michelangelo, tirava i carri con i pesanti blocchi di marmo. Un monumento nazionale da tutelare. Non solo. La rusticità forse è un termine che non dice niente ma è la capacità dell’animale di adattarsi. Le nostre vacche sopravvivevano anche ad alte quote fuori dalla stalla, la Frisona dopo 4 giorni muore perché non sa pascolare. E se un giorno non ci fossero più stalle?».
Varietà è ricchezza. Affiliata alla fondazione europea Save, l’associazione Rare si batte per sostenere i veri custodi di razze selezionate nei secoli dall’uomo. «Meno soldi per capannoni di cemento più a questi allevatori», dice l’agronomo torinese. «Sono pochissimi, poco considerati anche dalle associazioni di categoria e politicamente non contano niente. Ma sono quelli che più vanno protetti! È gente incredibile che, a costo d’immani sacrifici, difende il prezioso legame tra territorio, razza e prodotto che ha fatto la fortuna dell’Italia». La riscossa della Rossa Reggiana. Anni 50, tra Parma e Reggio Emilia, c’erano 41 mila capi della vacca dal cui latte ha avuto origine il parmigiano. Invasione di razze cosmopolite: nel 1981 erano rimaste solo 450 Rosse. Un gruppo di lungimiranti allevatori decise di ridar vita alla pregiata razza: oggi i capi sono 4 mila e il miglior parmigiano reggiano è quello del Consorzio Vacche Rosse.
Chiara Beria
Di argentine