“Grave alterazione della rappresentanza”
Politicamente, è un via libera a tutti e tre i sistemi che sono all’attenzione del Parlamento, e che è perfettamente libero (ovviamente) di effettuare le proprie scelte; tecnicamente, la sentenza n.1 del 2014 con la quale la Corte costituzionale boccia il Porcellum ha l’effetto immediato di rimettere in vigore il proporzionale puro. Ma, per restituire all’elettore il diritto di scegliere l’eletto, con una preferenza unica: basta inserire nella scheda, accanto al simbolo, la possibilità, scrive la Corte. Oppure, ribaltando un argomento di critica stoltamente circolato in Parlamento, si può scegliere la lista bloccata corta, quella del sistema spagnolo: che, essendo breve e non un elenco di decine di nomi dai quali non si evince chi sarà poi eletto anche per «effetto delle candidature multiple», permette comunque al cittadino di sapere per chi vota. Un effetto infine, quello delle liste bloccate corte, che attraverso i collegi si ottiene pure col Mattarellum.
La sentenza è un atto di condanna senza appello alla legge che fu congegnata dal leghista Roberto Calderoli, che la definì una porcata. Il Porcellum, scrive la Corte, aveva espropriato il cittadino di un diritto, «ferendo la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione», ma soprattutto lesa l’eguaglianza del voto «e dunque la parità di condizione dei cittadini nel momento in cui il voto viene espresso». Ma non è costituzionale anzitutto perché manca «una soglia minima» e trasforma «una maggioranza relativa di voti, potenzialmente anche molto modesta, in una maggioranza assoluta di seggi», determinando così «una grave alterazione della rappresentanza democratica». E arrivando perfino a «non dare governabilità». Un argomento che sembrerà paradossale a quanti credono che la stabilità dipenda dai premi di maggioranza ma che invece per la Corte è lampante perché c’è «il rischio» che «anche immediatamente dopo le elezioni» la coalizione vincente, e che s’è avvantaggiata di un tal premio di maggioranza, «possa sciogliersi, o che uno o più partiti che ne facevano parte escano», provocando «un’alterazione degli equilibri istituzionali». Come in effetti è capitato, è appena il caso di notare, sia al governo Prodi sia a quello Berlusconi.
Naturalmente, premi di maggioranza sono possibili, purché non siano abnormi e vi siano adeguate soglie di accesso, e questo, vale anche per il Senato, la cui legge elettorale ha sin qui seguito la medesima logica premiale della Camera su base però regionale: anche in questo caso non si è garantita la governabilità, «favorendo la formazione di maggioranze parlamentari non coincidenti nei due rami del Parlamento».
Ma è evidente che l’attuale Parlamento è legittimo, e perfettamente legittimato - se crede - ad approntare una nuova e diversa legge elettorale, che dovrà inevitabilmente tenere ben presenti i rilievi della Corte costituzionale. Che mette anche uno stop a vaneggiamenti e polemiche politiche, segnalando di aver cassato una legge e non le assemblee legislative con la decisione presa lo scorso 3 dicembre e di cui ora sono note le motivazioni: «Le elezioni che si sono svolte in applicazione anche di norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, con ogni evidenza, un fatto concluso». E questo perché c’è «il principio fondamentale della continuità dello Stato, che non è un’astrazione e si realizza in concreto attraverso la continuità dei suoi organi costituzionali». Tanto che - questo tocca alla Corte di aggiungere, dati i tempi che corrono - «è la stessa Costituzione a prevedere a seguito di elezioni la prorogatio dei poteri delle Camere precedenti finché non siano riunite le nuove Camere». E lo stesso vale per la legge elettorale: un Paese non può star senza. Dunque, o si resta con il proporzionale puro a preferenza unica che è la risultanza della sentenza di ieri della Consulta, o il Parlamento procede varando uno di quei differenti sistemi elettorali che ha all’esame. Di più, la Consulta non può fare. «La presente decisione non può andare al di là di quanto ipotizzato e richiesto dal giudice rimettente», che era poi la Cassazione: e questa è la motivazione con la quale il 3 dicembre scorso, votando, i giudici togati han prevalso sui laici che avrebbero voluto reintegrare il Mattarellum.