ebook di Fulvio Romano

giovedì 9 aprile 2015

Un brindisi allo Zuavo

LA STAMPA

Cuneo

Per cortesia alzate il bicchiere

Brindiamo allo Zuavo che lascio

Il 4 luglio 1974, mio padre Ferruccio aprì lo Zuavo, comperato da poco, con quindici giorni in anticipo a quelli previsti, perché un amico si sposava e ad un «sumà» non si può dire di no, così il locale fu messo in ordine lavorando anche di notte e sposammo, laicamente, Enrico Sanna e Nene.

Così cominciò la nostra avventura zuavesca, mio padre si creò un ristorante su sua immagine e somiglianza, il cibo era quello che piaceva a lui, la pasta e i fagioli doveva reggere il cucchiaio in verticale, tanto era ricca di zuppa, il risotto sempre cotto al momento, il bollito almeno con 8 pezzi differenti, compresa la gallina vecchia, che adesso non si trova più (solo volatile tragicamente giovane, senza gusto), insomma si divertiva, aveva un cuciniere perché chiamarlo chef non si voleva usare, al quale lasciava fare, ma solo quello, da lui consentito.

La sera cominciava a vivere, credo che sia stato l’unico oste a comperare un pianoforte, a Cuneo, perché la musica andava di pari passo con il mangiare e ancora più il cantare, furono anni straordinari dove tutta la sala si univa a chiunque intonava un motivo, dove si vedeva l’industriale e il suo operaio cantare insieme, il capo della polizia con lo studente, che solo poche ore prima aveva insultato al solito sciopero, la gente comunicava cantando e l’artefice di questo esperanto fu mio padre.

Furono anni in cui le menti più evolute si davano appuntamento nella nostra piola, scrittori, giornalisti della stampa e televisivi, artisti, venivano per desinare ma anche per confrontarsi, con lui con i suoi valori e i tanti difetti che metteva in mostra come fossero pregi.

Si creò il dopo teatro, che caldeggiò Streri, vicesindaco, ma grande attore di se stesso, avevano molte cose in comune, il partigianato, ma soprattutto il modo di giocarsi la vita. Gli attori venivano allo Zuavo per essere fotografati e per l’applauso che partiva dagli altri ospiti, che erano stati a vedere la commedia e adesso volevano stringergli la mano, toccare il capocomico, sentirlo vicino.

Il sole di mio padre brillò per cinque anni poi si spense. Lo Zuavo continuò a essere per molti anni, mia madre in modo diverso ma mai banale, prese il posto di Ferruccio, grande cuoca, produceva tutta la pasta all’uovo e i dolci, mitici, ma il suo appoggio straordinario fu la pittura. Negli anni il suo modo di dipingere cambiò, passò dai quadri di fiori e alle nature morte a rappresentare le persone, che sempre erano figure conosciute, così che i clienti si trovarono appesi al muro il nostro Dna e lo sentivano vero, pulsante quando era una festa nel locale, dove i colori e i suonatori erano posti come un quadro dell’Ottocento francese che ancora interloquivano tra di loro o riflettuosi se erano di famiglia, la sua pittura, parla.

In tutti questi anni lo Zuavo ha prodotto non solo cibo, ma atmosfera, ambiente che passava tra i tavoli con un pavimento che cigolava camminandoci sopra, il nostro ospite si trovava in un film che non era il suo, ma le piaceva, lontano anni luce dai rumori chiassosi, attiguo ai suoni di vecchie canzoni.

Sarebbe gradevole se in questo momento, qualunque cosa facciate, la sospendeste per qualche secondo e alzaste un bicchiere per fare un brindisi al nostro Zuavo e alla mia famiglia. Prosit!

Gianni Spada figlio di Ferruccio


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