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lunedì 17 novembre 2014

Il Paese con più catastrofi in Europa...

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Italia

Il Paese con più catastrofi in Europa

Oltre 2 mila morti negli ultimi 50 anni

A rischio 4 Comuni su 5. L’esperto: colpa di chi ha costruito negli Anni 60

Oggi è il 17 novembre. Nel 1929 una frana investì un casolare a Osilo (Sassari): otto morti, quattro feriti e 50 sfollati. Ieri era il 16 novembre. Nel 1991 la Toscana e l’Umbria finirono sott’acqua: quattro morti, un disperso e 200 sfollati. Ce n’è anche per la giornata di domani, 18 novembre: nel 2013 frane e inondazioni in Sardegna, 17 morti, un disperso e 2mila sfollati. In pratica non c’è giorno del calendario che non sia coperto da un disastro.

«Dopo la Grecia tocca a noi» è il mantra che sentiamo ripetere quando si ipotizza il default dell’Italia. In questo caso l’ordine andrebbe invertito: i peggiori siamo noi, i greci vengono subito dopo. Non esiste in Europa paese maggiormente colpito da ogni tipo di catastrofe naturale: terremoti, frane, inondazioni, tornado, grandine, valanghe. Frane e inondazioni - fenomeni spesso correlati - negli ultimi cinquant’anni hanno provocato 2007 morti, 87 dispersi, 2578 feriti e 423.728 sfollati. «Dal Dopoguerra a oggi non è passato anno senza un morto», rivela Fausto Guzzetti, direttore dell’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Cnr. Il 2014, poi, sarà da ricordare: quattordici tra frane e inondazioni solo nei primi sei mesi dell’anno, con 9 morti, 12 feriti e 4856 persone evacuate.Perché? «La causa principale è il clima: è un anno particolarmente piovoso», spiega Guzzetti. «Nell’ultimo secolo si sono verificate forti oscillazioni, periodi caratterizzati da disastri (gli anni 50-60) e altri di relativa calma ( gli anni 80-90». Mai, però, abbiamo evitato i morti. 

Secondo un report del ministero dell’Ambiente, datato 2008, in 6633 comuni su 8071 esistono aree a rischio. In ogni singolo comune di Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d’Aosta e Provincia di Trento c’è almeno una zona è pericolosa. Stime che gli esperti suggeriscono di prendere con le pinze: non è semplice eseguire una mappatura completa del territorio, senza contare che di frequente sono gli stessi comuni a fornire i dati. Meglio stare ai fatti: la Protezione Civile ha individuato 134 zone di allerta sul territorio, si va da un minimo di due in Trentino–Alto Adige a un massimo di 25 in Toscana. Il Servizio geologico ha anche censito 480 mila frane. «Ma noi siamo in grado di dimostrare che ne esistono molte di più», dice Guzzetti. Un anno fa ha ispezionato due comuni delle Marche colpiti da un’alluvione, Rocca Fluvione e Arquata del Tronto: «Solo lì ne ho trovate 1600». 

Mancano i soldi per trovare le altre. «A noi, come ai meteorologi, ai sismologi, chiedono di essere sempre più precisi. Ma senza spendere un euro. Ci mandano in guerra con le pistole ad acqua». Così passiamo da un disastro all’altro. Ottobre 1954: colate di fango e detriti invadono Salerno e cinque paesi accanto, 318 fra morti e dispersi, oltre 5 mila sfollati. Ottobre 1970: i fiumi Polcevera, Leiro e Bisagno valicano gli argini e inondano Genova, 35 morti e 8 dispersi. Luglio 1987, Valtellina: 35 milioni di metri cubi di roccia si staccano dal monte Zandilla e precipitano nell’Adda, 49 morti e 12 dispersi. Potremmo proseguire a lungo. «In Italia questi fenomeni si verificano con particolare frequenza almeno per tre motivi», spiega Guzzetti. «Una forte densità di popolazione (60 milioni in 301 mila chilometri quadrati), un’altissima densità di abitazioni e un territorio fragile. In più gli italiani ci hanno messo del loro». Alcune regioni, vedi l’Umbria, sono coperte da frane per il 10-15% del territorio. E le frane si muovono. «È fisiologico e non sarebbe un problema se non fosse che su queste frane, sopra, sotto, accanto, dentro, si è costruito. Erano anni, soprattutto il Dopoguerra, in cui si teorizzava lo sviluppo edilizio senza limiti. E, probabilmente, mancavano le conoscenze e gli strumenti di cui disponiamo noi. È stato un errore, anche dal punto di vista economico. Ma lo possiamo dire solo ora».

andrea rossi


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