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venerdì 14 febbraio 2014

L'alieno alla prova del nove...

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Italia

L’alieno alla prova del nove

“Un dovere il cambio radicale”

Renzi ha rottamato tutto ciò che ha incontrato sulla strada per Palazzo Chigi

«Demolition man», lo definisce il Financial Times annunciando l’evento ai suoi lettori. «Il premier più giovane della storia repubblicana», battono le agenzie dando a volte per scontato quel che scontato ancora non è.

Sono ore - insomma - in cui aggettivi, iperboli e metafore si sprecano, e lo si può capire: perchè a Palazzo Chigi - se poi avverrà davvero - sta atterrando un alieno.

Un alieno nel modo di intendere la politica, nello stile con cui la pratica e nella filosofia che lo guida. Ieri in Direzione ha liquidato un governo con una relazione durata una ventina di minuti: un tempo che un segretario «normale» avrebbe impiegato per la sola introduzione. Ed una frase pronunciata davanti al gotha del suo partito è stata rivelatrice - per chi ancora ne avesse bisogno - del suo modo di affrontare le questioni: «Sapeste le mail che ho ricevuto con la preoccupata raccomandazione: “Matteo stai attento, Matteo rischi di bruciarti”. Ne capisco il senso... Ma se non avessi rischiato, oggi sarei ancora a fare il secondo mandato alla Provincia di Firenze...».

È anche per questo modo di parlare e di intendere la politica e forse la vita - il modo, per dirla semplice, di uno che non ha ancora quarant’anni - che molte delle obiezioni che gli sono state e gli vengono tuttora mosse - circa una certa carenza di bon ton politico, per esempio - Matteo Renzi non è che non le condivida: è che proprio non le capisce. Si pensi alla parola - «rottamazione» - che gli ha spianato una strada che era tutta in salita, facendo da passe-partout per arrivare prima alla segreteria Pd e poi - se accadrà - a Palazzo Chigi: dalla politica «tradizionale» sono piovute critiche circa la scarsa eleganza del termine, la sua rozzezza e perfino la sua violenza. Nessuno - o pochi - che abbia guardato alla sostanza: e nessuno, soprattutto, che se ne sia preoccupato, cogliendo in quel termine la sintonia con lo stato d’animo del Paese (e del Pd) e la sua dirompente attualità.

Oggi forse si può dire che l’irresistibile cavalcata del giovane sindaco di Firenze sarebbe stata meno irresistibile se fosse stata avversata con argomenti diversi da quelli attinti da un armamentario polemico ormai usurato. Che forza ha, per esempio, contestare al leader che meno di tutti ha paura del voto popolare (elezioni o primarie che siano) di arrivare a palazzo Chigi - se ci arriverà - attraverso una «manovra di Palazzo»? E che credibilità può avere un tale argomento polemico, quando la quasi totalità di quelli che hanno detto sì ad un suo possibile governo lo hanno fatto proprio per paura di andare al voto?

Ma tutto questo riguarda il passato, perché oggi il grande (e preoccupante) interrogativo è un altro: che cosa c’è da attendersi da un Presidente del Consiglio - se lo diverrà - che non è mai stato nemmeno ministro, che è fuori dal Parlamento e che non ha alcuna esperienza internazionale? Per ora è possibile una sola risposta, sulla base del percorso compiuto fin qui da Matteo Renzi: c’è da attendersi delle sorprese, questo è certo. Se poi si tratterà di sorprese che faranno bene al Paese, è un altro discorso: e non ci vorrà certo molto a capire che segno avranno.

A cominciare, naturalmente, dalla squadra di governo che sceglierà. L’attesa di un visibile cambiamento, inizia da lì: e sarebbe un primo e grave passo falso tradire le aspettative provando a blindare il suo esecutivo - per esempio - con nomi e scelte che rassicurino più i partiti che le ampie fasce di opinione pubblica che guardano a Renzi con speranza e simpatia. E per quanto si sia abituati a considerare i programmi di governo come impegni che raramente vengono rispettati, anche il percorso programmatico che proporrà avrà un grande peso nel valutare mosse e intenzioni del giovane leader democratico.

È presumibile che Matteo Renzi abbia pensato per tempo ai passi da muovere, e in che direzione. Ed è facile immaginare che quei passi possano essere condizionati dalla presenza al governo di una forza come quella di Angelino Alfano che - schiettezza per schiettezza - ha già fatto sapere, per esempio, che «se propone il matrimonio gay ce ne andiamo a gambe levate». Trovare un equilibrio tra cambiamento e interessi dei partiti che sostengono il possibile esecutivo, non sarà facile: ma è agli atti - e gli sarà ricordato - l’annuncio di ieri in Direzione circa «il dovere di un cambio radicale»...

Comunque sia, la corsa di Matteo Renzi forse è finita: in un tempo che per i rituali della politica italiana è un niente, un amen, il rottamatore ha rottamato tutto quel che ha incontrato sulla strada che separava Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi. I suoi nemici, fuori e dentro il Pd, hanno tentato di fermarlo con gli argomenti e i metodi di una politica tradizionale che già il travolgente successo di Beppe Grillo aveva certificato come inefficaci, usurati, finiti. Alcuni non l’hanno capito, altri hanno fatto finta di non capirlo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. E non è detto che per il Paese sia un risultato da maledire.

Federico Geremicca


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