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mercoledì 29 maggio 2013

Il flop grillino non illuda i vecchi partiti...

LA STAMPA

Cultura

Il flop grillino non illuda i vecchi partiti

Si sono fatti amare poco, e questo è fuori discussione. E il loro capo, Beppe Grillo, è il leader più detestato nella «cittadella politica». In pochi mesi, gli insulti, lo spirito censorio e l’assoluta indisponibilità al confronto, hanno fatto del M5S un corpo estraneo rispetto al sistema politico nel quale - pure - il 24 e 25 febbraio avevano fatto irruzione.

Ce n’era a sufficienza, dunque, perché la prima sconfitta elettorale attirasse sul movimento critiche e commenti al vetriolo. Nulla di nuovo: chi vince irride all’avversario, chi perde si lecca le ferite. Ma dietro le reazioni sarcastiche, sembra trapelare - stavolta - un di più di eccitazione, quasi un’euforia, che pare spiegarsi - in alcuni casi - con un sentimento che va oltre la soddisfazione per la semplice sconfitta dell’avversario politico: l’idea, insomma, che per Grillo e il suo movimento sia cominciata la parabola discendente (il che, per altro, è possibile), che i «duri e puri» dello scontrino abbiano i mesi contati e che tra non molto - insomma - si potrà tornare a suonare la musica di prima.

Il consenso ottenuto dal M5S e l’uso che di quel consenso è stato fatto, sono due cose diverse e meriterebbero due ragionamenti del tutto diversi. Nulla di quanto scritto in queste prime ore può esser contestato, a proposito delle ragioni della sconfitta di Grillo: candidati poco noti, la deludente azione politica - se vogliamo chiamarla così - svolta dai parlamentari eletti, il profilo più nazionale che locale del movimento e il ruolo svolto da Grillo stesso, certo meno presente ed efficace che in occasione delle elezioni politiche. Detto tutto ciò, però, sarebbe illusorio immaginare che le ragioni alla base del consenso ottenuto solo tre mesi fa, si siano eclissate, superate da un positivo evolvere della situazione.

La crisi del M5S, insomma, non cancella e non toglie drammaticità ai motivi che avevano dato forza al movimento: in particolare non toglie dal campo l’urgenza di una profonda riforma del sistema politico, del suo modo di funzionare e della modalità e quantità di risorse pubbliche che vi vengono destinate. Proprio il finanziamento ai partiti è stato - contemporaneamente - il miglior cavallo di battaglia di Grillo e l’affondo più doloroso subito dalle forze politiche tradizionali. Ma se su questo piano qualcosa si è mosso - inutile negarlo - è stato sotto l’azione pressante (e spesso sgradevole, è vero) del M5S; e se qualcosa di nuovo è accaduto anche nelle istituzioni - si pensi al profilo dei Presidenti di Camera e Senato - le ragioni vanno ricercate ancora lì: nel successo delle liste di Grillo (e qui, in fondo, è la vera differenza tra il disertare le urne ed esprimere comunque un voto, anche se di chiara protesta).

Lunedì, mentre venivano chiuse le urne, le agenzie di stampa battevano la notizia della condanna a 3 anni e 4 mesi per Franco Fiorito, che nella sua funzione di capogruppo Pdl alla Regione Lazio si era appropriato di più di un milione di euro dei finanziamenti destinati al suo partito: altri processi sono in arrivano e molti filoni di indagine restano aperti a conferma che anche questa emergenza (oltre alle altre che stringono il Paese) è tutt’altro che superata.

La cosa migliore da fare - ora che anche il Movimento Cinque Stelle è investito da una diversa ma ugualmente profonda crisi - sarebbe dunque andare avanti sulle riforme e sui tagli già annunciati dal governo, così da dimostrare che (Grillo o non Grillo) il sistema è in grado di riformarsi. La cosa peggiore, invece, sarebbe pensare di averla scampata, tirare un sospiro di sollievo perché «quei rompiscatole hanno perso e sono finiti», e tornare all’andazzo di prima. Sarebbe un errore imperdonabile: un po’ come quel malato che continua ad avere la febbre ma butta via il termometro in modo che, non potendo misurarla, può illudersi di non averla più...

Federico Geremicca


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