Italia
“Non pensavo alla morte
Così mi sono salvata”
L’alpinista viva dopo 5 giorni a 4mila metri: “Ho imparato l’umiltà”
L’alpinista viva dopo 5 giorni a 4mila metri: “Ho imparato l’umiltà”
Le tende chiare si agitano appena davanti alla finestra aperta. Fuori fa ancora fresco ma la giovane donna distesa sul letto della stanza numero 3 nel reparto Ricoveri brevi dell’ospedale di Sallanches ha voglia d’aria dopo quattro giorni e quattro notti chiusa in un buco scavato nella neve a 4000 metri di quota sotto l’Aiguille Verte, massiccio del Monte Bianco. Gaëlle Cavalié, salvata all’alba di sabato dagli uomini del Peloton d’Haute Montagne di Chamonix, racconta il suo calvario con un filo di voce, sottile come la speranza che le guide alpine avevano di trovarla viva. Sui piedi e sulle mani ha il bacio nero lasciato dal freddo. Le mani sono a posto, quanto alle dita dei piedi i medici sapranno martedì - dopo gli ultimi esami - se potranno salvarle tutte. Ma, come hanno scritto su Facebook gli uomini blu del Soccorso alpino, «i suoi giorni non sono in pericolo».
Tutto era cominciato martedì. «Mi sono unita a una cordata di due alpinisti e siamo andati su per il Couloir Couturier. Loro, a un certo punto, hanno deciso di tornare indietro per il brutto tempo». Lei no. Perché? «Mi sentivo bene, c’era un solo pezzo brutto da affrontare, poi avrei trovato neve per andare veloce. Contavo di farcela». E invece. «Ho sbagliato, mi sono tenuta troppo a sinistra e non andavo né su né giù. Il cellulare non aveva campo. Ho provato a sbracciarmi, c’era tanta gente che saliva, ma nessuno mi ha vista. Quando è salita la nebbia mi sono infilata in un piccolo crepaccio, sarà stato un metro e mezzo, e ho passato la notte». Diventerà la sua casa per quattro giorni. Senza cibo perché, dice, «ero davvero sicura di farcela in giornata».
«Il giorno dopo ho riprovato la salita, ma non c’è stato niente da fare. Avevo una sete tremenda. Allora sono tornata giù, al mio buco. Avevo paura di non ritrovarlo e pensavo ai due alpinisti uccisi dal freddo lo scorso anno al Dome du Gouter perché avevano lasciato il loro rifugio». Aveva visto il bollettino meteo, sapeva che avrebbe dovuto aspettare giorni per essere portata in salvo. In quella buca è sola con il suoi ricordi. La scaldano loro. «Pensavo ogni momento alla mia famiglia. Ora dopo ora. È questo che mi ha dato la forza di resistere. Credo in Dio e ho pregato. Tanto». In quel crepaccio diventato rifugio Gaëlle ha chiuso la porta in faccia alla paura della morte. «Non ho mai veramente temuto di non farcela. Ho cercato di non pensare alla morte». E c’è riuscita. Non ha neanche pianto. «In alta quota ti può creare problemi di respirazione».
Non è un’alpinista improvvisata. «Sono di St-Gervais, qui vicino. Con papà e il mio fratello maggiore ho fatto il Bianco a 13 anni. Sono andata a studiare Biologia a Parigi ma qualche mese fa ho lasciato gli studi. Mi mancavano le mie montagne e sono tornata. “La montagne vous gagne” (la montagna ti strega, ndr) diciamo noi». Gaëlle sogna di fare la guida alpina, si stava allenando. Non ha cambiato idea neppure adesso. «Lassù sentivo che la montagna mi stava dando una grande lezione di umiltà. E l’ho imparata. Non salirò mai più da sola. Prima di partire cercavo un faccia a faccia con me stessa, l’ho avuto. Anche troppo».
La notte di venerdì è stata punteggiata da un sogno ricorrente. «Sognavo l’elicottero che arrivava, mi svegliavo di soprassalto e capivo di essere sempre in quel buco. In continuazione». Alle 6,30 sente ancora l’elicottero, Gaëlle, e questa volta non è un sogno. «È passato una prima volta. Poi è tornato. Ho aspettato di sentirlo davvero vicino e allora, con la pala, ho fatto crollare il tetto di neve. Erano le mie ultime forze, non potevo sbagliare. A quel punto hanno visto la mia giacca arancione ed eccomi qua, nello stesso ospedale dove 21 anni fa oggi (ieri, ndr) sono venuta al mondo». Il suo regalo di compleanno è una seconda occasione.
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Andrea Chatrian