Enrico Deaglio per "il Venerdì - Repubblica"
Mike Bongiorno, che era ormai molto vecchio, ma sull'America la sapeva sempre lunga, a chi gli chiedeva chi avrebbe vinto, nel 2008, tra Barack Obama - un nero (!), e piuttosto di sinistra - e John McCain - un ammiraglio americano di buonissima famiglia ed eroe del Vietnam rispondeva: «Vince Obama di sicuro. Ma hai visto come scende le scale?».
Aveva ragione Mike. Nello scontro presidenziale, la giovinezza, l'appeal sessuale, la voce del giovane democratico, fecero la differenza; cosi come nel 1960, agli albori della tv, Kennedy apparve bello, giovane e desiderabile, mentre Richard Nixon (che aveva rifiutato il trucco) era sudato e stanco.
KENNEDY NIXONLa «società dello spettacolo» si può datare da allora, da quando la democrazia scelse il corpo più che le idee. Allora si stabilirono due cose: che il Presidente è un prodotto da vendere come qualsiasi altra merce, ma anche che la merce ha un'anima, veicolata da illusioni e menzogne (la Pop art nasce lì).
Sacerdoti di questa liturgia, nacquero «gli esperti del marketing», una classe sociale che nei decenni ha venduto i tacchi a spillo come «bisogno di ascesi verso Dio» e si è fermata solo di fronte all'impossibile: venderci Mario Monti come «amico del popolo». Gli americani fanno meno distinzione degli europei tra merce e cultura. Un italiano di fronte a Monna Lisa fa «oh», l'americano chiede «quanto costa?».
NETFLIX HOUSE OF CARDS KEVIN SPACEYGli americani ci hanno venduto nell'ultimo secolo i libri tascabili, l'hula hoop, i predicatori televisivi, la sit comedy, il chewing gum, Topolino e Paperino, le slot machine, il poker on line, la cultura gay e le mutande di Calvin Klein, le sigarette e la loro demonizzazione, il prolungamento della giovinezza, il Creazionismo e il Mutamento Climatico.
Più di un saggio o un trattato, la serie televisiva Mad Men, giunta ormai al sesto anno, è il miglior ritratto di quello che è stato il complesso industriale-culturale americano: racconta i favolosi anni Sessanta attraverso la vita quotidiana di un'agenzia di pubblicità a New York, dove i protagonisti vendono piccole felicità, sono insieme felici e disperati e cominciano a bere whisky alle dieci di mattina.
NETFLIXPer decenni Alberto Arbasino, praticamente unico in Italia, faceva periodici sopralluoghi in America, per controllare e metterci in guardia da «quello che ci sta per vomitare addosso la California»; intanto i big spender della pubblicità erano arrivati anche da noi (shampoo, carta igienica, merendine: anche noi eravamo usciti dalla miseria) e decidevano se in prime time sulla Rai doveva andare l'Odissea letta da Ungaretti oppure qualcosa di più accessibile alla casalinga di Voghera.
MICHELLE E BARACK OBAMA NEL FOTOMONTAGGIO CON LA FRANGETTACosì ci americanizzammo, anche se riluttanti. Esiste ancora questo monopolio, questa dittatura? No, ed è stata l'America stessa a distruggerla. Un giorno ci ricorderemo del 2013 come dell'anno del suicidio di Aaron Swartz. Programmatore geniale, (sua l'invenzione del formato Web Rss), diventato un militante del libero sapere su internet, Swartz aveva sottratto circa cinque milioni di pubblicazioni scientifiche del Mit per renderle accessibili a tutti. La famosa università lo aveva fatto arrestare.
Libero su cauzione, Swartz stava per affrontare un processo in cui rischiava 50 anni di carcere, quando si è impiccato nella sua casa di Brooklyn. Aveva solo 26 anni. Sulla rete è ora ricordato come un Prometeo che ha rubato il fuoco agli dei per darlo al popolo. La vicenda di Aaron Swartz è emblematica, perché ha segnato, nel dramma, il dile