ebook di Fulvio Romano

venerdì 24 maggio 2013

La Cassazione:"B. frodava il fisco da premier"...

LA STAMPA

Italia

“Berlusconi frodava il fisco da premier”

Le motivazioni della condanna in appello. E la Cassazione sulla ricusazione dei giudici: frasi infamanti


Tra le motivazioni della sentenza Mediaset e quelle della Cassazione con cui è stato respinto il ricorso sulla remissione dei processi milanesi di Berlusconi a Brescia («una richiesta dilatoria»), si riaccende lo scontro politico giudiziario sul Cavaliere. Soprattutto per la durezza dei toni usati dai giudici supremi che definiscono «accuse infamanti» quelle di Berlusconi verso i magistrati milanesi perché colpiscono «un presupposto o una precondizione irrinunciabile della professionalità e onorabilità del giudice».

Accuse ritenute ancor più gravi «per il ruolo pubblico e politico ricoperto dal richiedente». «Mere illazioni» sono i supposti «turbamenti della libertà valutativa e decisoria del giudice», offensivi e «dileggianti» le definizioni di «giudichesse femministe e comuniste», riservate ai magistrati che decisero in primo grado sulla separazione da Veronica Lario. E se ancora non bastasse, ecco la motivazione del processo Mediaset che ha confermato i 4 anni di reclusione per frode fiscale più i 5 d’interdizione dai pubblici uffici: sobria nei contenuti, ma micidiale nella sostanza. Intanto perché ribadisce che Berlusconi proseguì a frodare il fisco «nonostante i ruoli pubblici assunti», ovvero anche da Presidente del Consiglio; poi perché lo individua ancora una volta come “dominus” e «assoluto vertice» del sistema di evasione creato ben prima del 1994 grazie alle architetture “off shore” dell’amico ed ex coimputato David Mills, nel famoso comparto estero “B” o “very discret” di cui è stato l’ideatore: «Vi è la piena prova documentale e orale che Berlusconi abbia direttamente gestito la fase iniziale del gruppo B e quindi dell’enorme evasione fiscale realizzata con le società off shore».

Quindi perché lo smentisce nella sua ricostruzione edulcorata dei fatti («Vengo condannato per un’evasione di 3 milioni di euro quando ho versato centinaia di milioni in tasse») quando spiega che «seppur comprendendo l’anno 1994, si è visto come i vantaggi siano stati cospicui arrivando, nel solo ultimo quinquennio, a costituire risparmi fiscali discendenti da un fittizio aumento dei costi per oltre 360 milioni di dollari. Certo, le somme in gioco in questo processo sono ben minori ma ciò dipende dal fatto che qui si tratta degli ultimi esiti di tale, complessiva, ingente evasione». Infine perché spiega che la pena accessoria dei 5 anni d’interdizione dai pubblici uffici è in realtà il minimo applicabile al tipo di reato commesso «non essendovi ragione alcuna per trattare i reati fiscali più favorevolmente rispetto a quelli comuni, posto che la loro stessa normativa li considera così gravi da imporre l’interdizione, seppure per un termine minore, come accessorio a qualsivoglia pena detentiva». La vicenda dei diritti tivù Mediaset è stata «un’operazione illecita organizzata e portata a termine costituendo società e conti esteri a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti anni. Parallelo alla ordinaria gestione del gruppo. Sfruttando complicità interne ed esterne. Proseguito nonostante i ruoli pubblici assunti. E condotto in posizione di assoluto vertice». Impossibile quindi la concessione delle attenuanti generiche. E dunque, tirate le somme, anche le motivazioni della sentenza di secondo grado suonano come una pietra tombale per le aspirazioni politiche del leader del Pdl: a quale incarico pubblico potrebbe mai assurgere un uomo che ha continuato a frodare il fisco pur ricoprendo uno dei massimi incarichi istituzionali? Per i giudici non esistono solo prove documentali al processo che ha portato alla condanna di Berlusconi, ma anche prove logiche che contrastano la linea difensiva di un imputato che ha sempre sostenuto di essersi disinteressato, almeno dal 1994 in avanti, dei destini del suo impero che vive, giusto per ricordarlo, di concessioni pubbliche: «Non è verosimile che qualche dirigente Fininvest/Mediaset abbia organizzato un sistema come quello accertato e soprattutto che la società abbia subito per vent’anni truffe per milioni di euro senza accorgersene (non risultano invero denunce nei confronti dei fiduciari Bernasconi e Lorenzano)».

Viene perciò considerata «anomala» la posizione di Mediaset, parte civile al processo, che ha sostenuto di non aver subito danni da questo sistema: «Significa sostanzialmente che i vertici della società ancora oggi neppure riconoscono l’illiceità di quanto accertato». Diversa la posizione di Fedele Confalonieri, assolto per la seconda volta: «In realtà non vi è prova sufficiente, che egli fosse realmente consapevole».

paolo colonnello


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