Da La Stampa di oggi:
La prima settimana
e i fidanzamenti
impossibili di Enrico
Così Letta avvicina Pd e Pdl, e forse Merkel e Hollande
Una serata da Fabio Fazio è l’incoronazione: il capo del governo delle larghe intese, che è egli stesso una larga intesa fatta uomo, nella trasmissione che è da sempre la base culturale delle larghe intese. Dopo una settimana (scarsa) di lavoro ci voleva. Ed Enrico Letta è andato a Che tempo che fa a dire che non è più il momento di vessilli alzati e fazioni in lotta. «Insieme», ha detto. E «tutti insieme», o anche «tutti assieme». Per una «scelta di servizio». Ha ripetuto di essere diventato grande davanti all’immagine conciliatrice di François Mitterrand e Helmut Kohl mano nella mano a Verdun, la città di uno dei macelli della Prima guerra mondiale. Su e giù, alto-basso, come piace a lui nella sua personale larga intesa di ragazzo studioso diventato grande nell’improvviso drive-in degli Anni Ottanta: «Andate a Pisa a vedere l’ultimo muro dipinto da Keith Hering, si chiama Tuttomondo», ed è il trionfo variopinto delle diversità. Messe «insieme», naturalmente.
La garbatissima intervista di Fazio sarà un altro bacio in fronte al politico che, secondo i sondaggi dell’Swg, è oggi il più amato dagli italiani col sessantadue per cento dei favori, appena più di Matteo Renzi. Una contentezza vasta e diffusa, ed internazionale: da Jovanotti («finalmente un presidente del Consiglio della mia età») a Josè Manuel Barroso («Enrico Letta può rilanciare la speranza»). Sarà che come disse una settimana fa Luciana Littizzetto proprio a Che tempo che fa, Enrico Letta «ha la faccia del pediatra che viene a casa a rassicurare sulla salute del bambino». Sarà che lui è andato a Parigi a parlare con François Hollande e si sono presi mano nella mano, piccino uno e altissimo l’altro, proprio come Mitterrand e Kohl, e per motivi non così memorabili, piuttosto in un’immagine di dolcezza da scuola materna. La grande coalizione spirituale che risiede in Letta è capace di riproporre «tutti insieme» e «tutti assieme», prodianamente, e anche il superprodiano europeismo, con la giocosità berlusconiana, ma meno greve, nel segno del pollice e del mignolo alzati (pare sia il saluto di buon vento che si rivolgono i velisti) al primo vertice con la terribile Angela Merkel.
Anzi, ieri sera, colto da serena cupezza, Fabio Fazio non ha dato nemmeno modo al premier di tirare fuori la monelleria che è in lui, quello scambio di battute alla Camera, sui banchi del governo, con Fabrizio Saccomanni, il ministro dell’Economia: e lì Letta scoppia a ridere e crolla sul banco. È giovane, del resto. E non importa che in fondo Massimo D’Alema avesse soltanto due anni più di lui (49 a quasi 47) quando arrivò a Palazzo Chigi nel 1998. Letta è giovane perché va al Quirinale con l’utilitaria della moglie, perché un giorno sì e uno no cita l’Erasmus, l’esperienza di formazione per lui e i suoi coetanei che scoprirono «di avere altre case e altri Paesi». È giovane per l’interrail, e tutti quei confini a poco a poco venuti giù. È giovane perché la mattina in cui lo chiama Giorgio Napolitano sta portando i bambini a scuola. E perché ricorda l’insegnante di francese a Strasburgo rievocata nell’incontro con Hollande: i tempi della strepitosa e intima larga intesa di quando si conciliava lo studio dei testi di Jacques Delors con il divertimento serale, a cui accedeva con una certa responsabilità di beneducato ragazzo di provincia. Anche oggi l’andirivieni è incessante: Letta è colto e sa mostrarlo e nel discorso programmatico cita Nino Andreatta e il confiteor, ma è giovane, e qui e là tira fuori una citazione dal repertorio di Ligabue o di Fabrizio De Andrè.
Siccome bisognava «trovare una via d’uscita», chi meglio di Letta, che anche ieri sera si è comportato da nuova leva, ma anche esperta? Chi, se non lui, che si è confermato uomo di sinistra ma molto attento alle ragioni di destra? Chi, se non questo ragazzo avviato alla cinquantina, che parla con la consapevolezza dell’anziano di Imu ed esodati, Iva e cassa integrazione? Il fidanzamento è saldo, anche dopo ieri sera. E le aspettative sono alte, e simili ovunque, se pure Le Figaro ha visto in lui, dopo il vertice parigino, le qualità del largo intenditore: «E se una chiave della pacificazione tra Merkel ed Hollande si chiamasse Enrico Letta?». Ecco, una piccola, breve e incompleta settimana è trascorsa, ed è stata sufficiente perché Letta mostrasse le sue numerose e trasversali qualità.
lunedì 6 maggio 2013
Letta da Fazio-larghe-intese: i fidanzamenti impossibili di Enrico
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