Italia
Il sindaco inaugura Eataly Firenze
dove gli ex librai diventano panettieri
Neanche dieci minuti che si aspetta e già uno s’inquieta: «Aveva altri appuntamenti, stamani?». E l’altro: «Sì, ci aveva della guarigioni ma non lo fa sapere perché è un tipo discreto». È Firenze, questa, l’irriverente e sfrontata. Perché poi Matteo Renzi arriva subito, senza i codazzi della politica moderna, o da modernariato, e sale sul palchetto rosso issato fuori dal nuovo Eataly di Oscar Farinetti. Dieci di mattina, via Martelli, nella zona del Duomo che fino a pochi anni fa era un autodromo e doveva diventare l’aerea del tram e ora è pedonale (e bellissima). Lo scandalo starebbe nel fatto che i locali sono quelli della storica libreria Martelli, che prima si chiamava Marzocco e prima ancora Bemporad, il cui titolare pubblicò Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi. Già in precedenza, citando Francesco De Gregori, Farinetti aveva spiegato che «nessuno è innocente». Abbiamo tutti una parte di colpa, per quel che capita in Italia. E è toccato a Renzi dettagliare: «Se non si voleva far fallire la Martelli bisognava comprare i libri». Siamo tutti addolorati, dopo. «In Italia purtroppo chiudono librerie e teatri», aggiunge Farinetti. In realtà a Firenze si respira un’aria diversa. Anche in piazza della Repubblica, quella del Giubbe Rosse e del Paszkowski, non ci sono più il cinema Gambrinus, con la sua sala da biliardo, né il vecchio Ricordi; al posto loro ecco l’Hard Rock Cafè e il negozio della Nespresso. E dov’era la libreria Edison si è discusso se mettere una superglobal Feltrinelli o la Apple, e ancora non s’è deciso. «La verità è che tutto un sistema di coop e di immobilismo d’apparato era in crisi, ed è stato spazzato via», spiega un vecchio giornalista fiorentino.
Ecco, il sacrilegio di Eataly ora si fa. «Dove c’era la cultura ora c’è la manduca (la bisboccia, ndr)», dice il priore novantanovenne della basilica di San Lorenzo, Angiolo Livi, prima di ingollare per colazione un calice di Ferrari. Ora sì, ora si può. Renzi dice che la pratica di Farinetti l’ha spostata di settimana in settimana perché non si pensasse a favoritismi. Ma la sintonia fra i due è nota, e Farinetti l’ha concretizzata così sul Corriere di Firenze: a queste primarie a Renzi «non ho dato nulla e lui non mi a chiesto nulla, ma se ha qualche debito un aiuto glielo offro volentieri». La politica - sostengono i due - si dovrebbe finanziare soprattutto così, coi contributi privati, anche se quelli pubblici resistono alle riforme. Intanto si festeggiano questi centoventidue posti di lavoro, una decina dei quali riciclati dalla vecchia libreria: ora fanno il pane. Renzi non si nega un dipendente, saluta tutti, fa l’in bocca al lupo da vecchio marpione. Pone domande del genere: «Fate la pizza più buona del mondo?». Anche lo stomaco pare essersi adeguato alle esigenze del consenso: nel giro di pochi minuti si è visto il sindaco ingurgitare il medesimo Ferrari del priore, un caffè, un pezzo di pizza con mortadella, una presina di carne trita fresca, un agnolotto crudo e una fetta di salame di culatello. Poi si è rinchiuso nel ristorante Da Vinci con Antinori (produttore Chianti), Lunelli (Ferrari), Gaja (Barbaresco) a chiedergli quali fossero i guai dell’agroalimentare. Sono via via arrivati Alessandro Baricco, Antonio Scurati, Carlin Petrini, Sergio Staino. Hanno mangiato e brindato, perché oggi non si parla di politica romana.
mattia feltri