ebook di Fulvio Romano

mercoledì 8 maggio 2013

Alessandria, da 10 a 20 anni per risanare la falda acquifera inquinata dal Polo chimico


La Stampa

Bonifica del polo chimico?

“Servono da 10 a 20 anni”

E Solvay ricorre al Tar contro le richieste di potenziare l’intervento

Dieci anni come minimo per fare la bonifica del polo chimico. Anzi, anche venti. Qualsiasi richiesta che arrivi prima di quella scadenza col sollecito di maggiore incisività degli interventi in atto, viene considerata irricevibile. E, infatti, Solvay ha fatto ricorso al Tar contro la determina del Comune in cui, il 26 febbraio, ha ordinato un «potenziamento della barriera idraulica o comunque tutte le misure ritenute più opportune per impedire la fuoriuscita della contaminazione all’eterno del polo chimico».

È emerso al processo in Corte d’Assise in cui otto dirigenti dello stabilimento - sia di Ausimont che di Solvay - sono accusati dell’avvelenamento della falda acquifera. L’avvocato Santamaria, per conto di Solvay, al testimone Alberto Maffiotti, direttore dell’Arpa, ha chiesto conto della situazione attuale sul fronte della bonifica. Chiaro lo scopo della domanda: evidenziare la solerzia e l’atteggiamento collaborativo vantato da Solvay, pur definendosi «proprietaria del sito ma non responsabile dell’inquinamento» (lo imputa ad Ausimont).

E il teste, rispondendo all’avvocato Santamaria, ha dato conto: «Il Comune ha chiesto di intervenire con un incremento della rete di captazione, perché, di recente, per alcuni parametri sono risultati superati i limiti di bonifica stabiliti dall’analisi del rischio». Praticamente, l’attività di bonifica operativa in corso non rispetta i limiti imposti e, quindi, l’acqua di falda, dopo essere passata sotto lo stabilimento, fuoriesce non conforme agli obbiettivi di bonifica. Non era proprio quello l’avvocato sperava di sentirsi rispondere. E ancor meno sperava che il pubblico ministero Riccardo Ghio sollecitasse ulteriori ragguagli: qual è stata la reazione di Solvay alla determina? «Ha fatto ricorso al Tar» ha spiegato il direttore dell’Arpa. Contro il Comune, e contro la Provincia, l’Arpa regionale e provinciale, l’Asl, la Regione, l’Amag e l’Ato 6.

Solvay ha reagito indispettita alla determina comunale: prima di tutto per il fatto che i limiti sforati riguardano campionamenti eseguiti a sua insaputa e in cui non sarebbe stata coinvolta; nel ricorso lamenta una «”dimenticanza” davvero intollerabile» che «viola il diritto di partecipazione e di contraddittorio» nelle «attività di accertamento».

Inoltre, definisce la richiesta contenuta nella determina «generica e indeterminata» tanto da costringere Solvay a «vivere nell’incertezza di non sapere cosa in concreto le viene e le verrà richiesto di realizzare». Richiama il «progetto di messa in sicurezza operativa e bonifica approvato in via definitiva il 30 gennaio 2012» e insiste ripetutamente sul fatto che gli obbiettivi di bonifica della falda, da conseguire mediante l’esercizio della barriera idraulica, potrebbero essere raggiunti nell’arco di 10-20 anni, e comunque non prima di 10». Immaginare un’anticipazione viene considerata da Solvay «impresa titanica, che non si può tecnicamente conseguire se non nel lungo periodo».

Ma al direttore dell’Arpa è stato chiesto di puntualizzare lo stato dell’arte e lo fa: «C’è un intervento in atto e non vengono rispettati i limiti previsti». Lo attestano i campionamenti eseguiti, periodicamente, sia all’esterno dello stabilimento sia all’interno (e in questo caso Solvay non può dirsi all’oscuro). Essendoci sforamenti è stato chiesto di potenziare quanto si fa. La reazione: il ricorso al Tar datato 19 aprile 2013. Il sesto, dal 2009 a oggi.

SILVANA MOSSANO