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Londra, Lampedusa
Cari ragazzi, noi ce la siamo spassata. Siamo andati a Londra alla fine degli Anni Ottanta e all’inizio dei Novanta, ed è stato così per noi, e dopo per quelli più giovani di noi, fino a oggi. Si andava a caso, all’avventura. O anche solo per vacanza. Qualcuno restava là. Qualcuno tornava dopo qualche anno, stanco di spillare birre ma arricchito di un inglese che qui gli si è rivelato provvidenziale. Qualcuno non è tornato più: è diventato il direttore del fast food o del negozio di scarpe. Qualcuno ha fatto carriera. Qualcuno studiava la sera e si è messo negli affari o è diventato medico. A Londra ci sono circa 250 mila italiani e tremila sono medici. Oggi si va a Londra e si può girarla da mattina a sera parlando italiano: trovi connazionali ovunque, in farmacia, al ristorante, nei musei, guidano pure i taxi. Londra è un incredibile euforico meticciato, un rimescolamento di sangue e intelligenze, una città in cui nessuno sta con le mani in mano, travolta di energia, cantieri su cantieri, vita giorno e notte. È una città aperta e forse non lo sarà più. Il premier Theresa May ha detto stop. Potranno entrare in Gran Bretagna soltanto i lavoratori specializzati. Chi è senza arte né parte, come eravamo noi, resta fuori. Il sogno di andare là e trovare la strada si spegne. Cala l’ombra su quel tripudio di gente, colori, lingue, su quella enorme medusa che ha risucchiato o creato i migliori cervelli di due o tre generazioni. Ora Londra è una città che, come quasi tutto il mondo ricco, i poveri non li vuole: fanno spavento. Cari ragazzi, noi ce la siamo spassata. Voi riavrete i confini, e saprete chi ringraziare.