ebook di Fulvio Romano

venerdì 13 luglio 2018

Ottant’anni fa le leggi razziali

LA STAMPA

Cultura

Il fascismo si adegua all’ideologia nazista

Ottant’anni fa le leggi razziali

La svolta con il decalogo anti-ebraico

pubblicato nel ’38 sul giornale di Mussolini

È tempo che gli italiani si proclamino francamente razzisti». È il 14 luglio del 1938, e sul Giornale d’Italia appare un articolo anonimo intitolato «Il fascismo e il problema della razza», meglio conosciuto come «Manifesto della razza». Il «Manifesto», poi ripreso da tutta la stampa italiana, è un «decalogo» che, al primo punto afferma che «le razze umane esistono». I punti successivi dichiarano che esiste una gerarchia tra le razze (concetto, quest’ultimo, «puramente biologico»), che esiste una «pura razza italiana», e che «è tempo che gli italiani si dichiarino francamente razzisti». Al punto 9 gli ebrei vengono descritti come «non appartenenti alla razza italiana» e si conclude con il decimo e ultimo punto secondo il quale «I caratteri fisici e psicologici puramente europei degli italiani non devono essere alterati in alcun modo».

Tra i firmatari vi sono alcuni dei migliori scienziati italiani, tra i quali Guido Landra, Nicola Pende e Sabato Visco. Anche se sembra che solo Landra sia stato l’autore del testo, nessuno degli altri firmatari si oppone a questa serie di orrori scientifici. Con il loro prestigio, questi docenti universitari «certificano» una serie di affermazioni che nulla hanno a che vedere con la scienza. 

Scienza opportunistica

È il primo passo degli scienziati italiani in favore del razzismo, voluto da Mussolini per suscitare odio nei confronti di una minoranza e per ottenere consenso attorno a una serie di provvedimenti che, nei mesi e negli anni successivi, escluderanno i cittadini ebrei di religione ebraica dalla società. I motivi che hanno spinto il dittatore a scatenare la campagna antiebraica sono noti: creare un nemico interno contro il quale mobilitare la società, a suo parere ormai troppo «imborghesita», e avvicinarsi ancora di più alla Germania nazista. 

Una politica caratterizzata da uno straordinario cinismo voluta da Mussolini in persona, senza alcuna pressione dall’esterno. Il «Manifesto» ha un effetto molto forte sull’opinione pubblica. Il Regime fascista esprime apertamente per la prima volta la sua vocazione apertamente razzista e, soprattutto, dichiara che una minoranza è un corpo estraneo alla comunità nazionale.

Sconcerto

In un primissimo momento, gli italiani osservano queste leggi con un certo scetticismo. Un forte e radicato sentimento antiebraico in Italia non c’è. La comunità ebraica è piccola, perfettamente inserita nella società e nelle istituzioni. Come tutti, gli ebrei hanno partecipato alle guerre, hanno dato il loro contributo alla società, alla cultura e all’economia italiane, e molti hanno anche aderito al fascismo. Si tratta dunque di una trovata propagandistica che non avrà conseguenze? 

E invece alle parole seguono, con ritmo incalzante, i fatti. In agosto gli ebrei sono costretti a dichiarare la propria «appartenenza razziale», cioè censiti. È una operazione che viene giustificata con la necessità di capire le esatte dimensioni del «problema ebraico», per analizzare «l’influenza» degli ebrei sulla società. È un modo per far capire all’opinione pubblica che gli ebrei sono troppi, e che il loro «potere» deve essere limitato. 

Zelanti esecutori

A settembre segue l’esclusione degli ebrei dalle scuole e dalle università. A novembre le leggi razziali vere e proprie, con la cacciata dagli impieghi pubblici, dalle professioni, dal partito fascista, dall’esercito. Agli ebrei è anche vietato di sposarsi con gli «ariani», come gli italiani stanno scoprendo di essere.

Una serie di leggi, seguite da una propaganda incessante e pervasiva che, passo dopo passo, deve convincere gli italiani che gli ebrei sono una «razza» e che rappresentano un pericolo per la propria società. Le parole dell’odio, mascherate da argomenti razionali e oggettivi convincono una parte, forse neanche piccola, dell’opinione pubblica che è necessario difendersi contro una minoranza diversa, infida e mai realmente leale nei confronti del paese che li ha accolti. Mussolini ha buon gioco nel resuscitare gli antichi pregiudizi della tradizione cattolica, mentre una parte degli italiani è immediatamente pronta ad approfittare dei posti di lavoro lasciati liberi dai perseguitati.

La politica antiebraica iniziata nel 1938 non è senza conseguenze, e non soltanto per le vittime.

Sono molti, troppi gli italiani che, per far carriera, per mettersi in mostra davanti ai gerarchi in camicia nera si dichiarano razzisti, pubblicano articoli antiebraici, rompono i rapporti con amici e colleghi ebrei. Sono tanti, troppi, quelli che fanno il vuoto attorno ai conoscenti e ai vicini di casa ebrei. Ma soprattutto sono tanti, troppi quelli che, durante l’occupazione tedesca, nel 1943-1945, collaborano con i nazisti nella caccia all’ebreo, caccia che si conclude, sempre, ad Auschwitz.

Una politica nata nel 1938, per volontà di un dittatore, apparentemente innocua, apparentemente «giusta» e «necessaria» per «difendere gli italiani», si trasforma, nel corso degli anni, nell’armamentario politico e ideologico che porta allo sterminio.

Amedeo Osti Guerrazzi