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martedì 31 luglio 2018

L’atletica corre più veloce dell’Italia

LA STAMPA

Cultura

L’atletica corre più veloce dell’Italia

giulia zonca

Sulle piste la seconda generazione va veloce, anticipa il cambiamento, accelera l’integrazione tanto che pure la definizione «figli di immigrati» si fa sempre più sfocata, distante, superata. Lo sport mescola, l’atletica italiana di più e per caso o per scelta è diventata lo specchio di quello che sarà, di una normalità che ancora la società non ha metabolizzato come tale e invece la nazionale azzurra sì.

Daisy Osakue che con l’occhio pesto dice «ho ancora più voglia di vincere per il mio Paese» è solo l’ultimo esempio, l’ultima voce di un gruppo che viaggia su un altro binario e fatica a concepire il razzismo perché effettivamente nella loro quotidianità non esiste. Sono abituati fin da piccoli al fatto ineluttabile che l’unica differenza sta nel cronometro, nella misura da raggiungere non certo nel colore della pelle. Si inizia presto, si vive tra palestra e campo, si sta sempre insieme e a ogni raduno la squadra cambia, nessuno ci fa caso. Poi capita che una staffetta tutta nera vinca una gara e che il successo venga registrato come novità. In effetti non era mai successo, ma per loro è naturale che capiti le quattro ragazze sono sia fiere di rappresentare il cambiamento sia seccate di essere valutate per questo. È tutto molto genuino, poco filtrato, tutto come dovrebbe essere eppure ancora non è. 

Loro viaggiano a un altro ritmo dentro un microcosmo in cui il cambio generazionale è continuo e il passaggio di testimone obbligato. 

I ragazzi che hanno dovuto aspettare 18 anni per una convocazione anche se sono nati qui si sono indignati per il voto mancato sullo Ius soli. Hanno raccontato le loro storie di talenti parcheggiati convinti che l’aria stesse cambiando e che la loro testimonianza fosse un contributo semplice, facile da capitare e da imitare. Hanno provato a convertire l’attesa forzata in motivazione e hanno spinto sulla passione come sono abituati a fare con i loro muscoli: di slancio, tutto di un fiato, convinti di essere sui blocchi, alla partenza di una nuova era. Solo che nessuno ha sparato il via. Lo Ius soli è sparito dal Parlamento ed è rimasto il loro freno. 

Osakue ha descritto l’emozione della prima maglia azzurra, inseguita per una vita, ha spiegato paziente e stupefatta che chi appende striscioni squallidi con la scritta «non ci sono neri italiani» non ha idea della fatica che fanno quei neri per correre, saltare, lanciare, giocare, competere per la bandiera italiana. E ora si trova faccia a faccia con una vigliaccata che puzza di razzismo e non sa cosa sta guardando, anche perché le hanno chiuso un occhio, ma lei sente l’odore della paura. «Diventerà forza per lanciare più lontano».

C’è stato il «MeTwo» della Germania stravolta dal caso Özil che ha rivendicato due anime, quella tedesca con cui è cresciuto e ha vinto un Mondiale di calcio, quella turca che gli resta nel cuore perché è la patria dei genitori. La nostra atletica crede nel valore che l’origine di ognuno si porta dietro e sventola la forza di questo miscuglio che si chiama Italia. 

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