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L’ombra della camorra dietro i 10 milioni spariti dalle casse del Viminale
Indagato l’ex numero due dei Servizi: avviata un’inchiesta interna
Quel giorno le previsioni meteo sulla capitale davano tempo instabile con rovesci e piogge, e le temperature massime non avrebbero superato i 12 gradi. Nulla di buono. Ma era il 27 marzo, mese «pazzariello». Quando quel giorno, sul tavolo del Capo di Gabinetto del ministro dell’Interno, il prefetto Giuseppe Procaccini, è arrivata dal Dipartimento libertà civili e immigrazione quella strana lettera, deve essere improvvisamente calato il gelo.
Da Berna, dalla banca «Hottinger», l’antico istituto di credito svizzero fondato nel 1786, arrivava la triste novella che stavano per estinguere i conti del Fondo edifici per il culto, Fec, visto che il saldo superava di poco i 16.000 euro, addirittura uno dei due segnava un meno cento euro circa.
Si devono essere guardati negli occhi, al Viminale. Tra incredulità, vergogna, stupore e spavento una croce di Sant’Antonio ha attraversato i diversi piani e le diverse stanze del palazzone. Chi aveva autorizzato quell’investimento? Chi sapeva e non ha fatto nulla? Come era possibile che fondi pubblici fossero stati investiti all’estero?
Interrogativi che l’allora ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, si pose il problema di sciogliere in pochi giorni. Tempo una settimana e il 5 aprile scorso il ministro ha nominato una commissione d’inchiesta interna concedendo tre settimane di tempo per trovare le risposte. Consapevole che una «banda del buco» aveva alleggerito il caveau del Viminale, prosciugando le casse pubbliche di 9.984.000 euro, a fronte dei dieci milioni di euro investiti nella banca elvetica.
Sempre il ministro dell’Interno il 9 aprile si è rivolto alla Corte dei conti con un esposto. Passano tre settimane e parte una prima nota per il procuratore della repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone. Il 2 maggio scorso ne arriva un’altra più dettagliata: «Avendo la commissione d’indagine chiesto la proroga della scadenza del 30 aprile, concessa fino al 30 maggio, si trasmette intanto il verbale del 10 aprile del Cda del Fec, sui rapporti con la banca svizzera Hottinger et Associés Lugano».
La banca ha comunicato che «a fronte del capitale conferito di circa dieci milioni di euro il saldo risulta essere di circa 16.000 euro». Ma chi e perché ha autorizzato il direttore centrale del Fec, il prefetto Francesco La Motta, a investire, nel luglio del 2006, dieci milioni di euro in una banca straniera? Fare operazioni del genere è legittimo?
L’esposto, presentato il 2 maggio scorso dal capo di gabinetto del ministro Cancellieri, riporta che l’11 luglio del 2012 risultava, da una rendicontazione della banca elvetica, un saldo positivo dell’investimento, pari a quasi undici milioni di euro. Salvo adesso rendersi conto amaramente che quel rendiconto era stato «taroccato», «non era stato predisposto dalla medesima banca».
Due settimane ancora, e sapremo a quale conclusione giungerà la commissione interna nominata dal ministro. Ma intanto le «sorprese» anticipate dalle iniziative giudiziarie delle procure di Napoli e Roma (lunedì si è tenuto a Napoli un vertice tra le due procure) hanno delineato uno scenario inquietante: il prefetto Franco La Motta è indagato per associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio (e rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio) con personaggi legati al clan camorrista Polverino, come il produttore cinematografico Eduardo Tartaglia. Nel gruppo c’era anche un broker di Lugano, Rocco Zullino .
Martedì dell’altra settimana, Zullino e Tartaglia sono stati fermati mentre La Motta è stato perquisito. Pur essendo andato in pensione, l’ex numero due del servizio segreto civile aveva mantenuto un rapporto di consulenza con l’ex Sisde oggi Aisi, mantenendo ufficio, segretarie e autisti. L’articolo 5, comma 9 del decreto legge cosiddetto Bondi, per la «spending review», «fa divieto alle pubbliche amministrazioni di attribuire incarichi di studio e consulenze a soggetti già appartenenti ai ruoli delle stesse e collocati in quiescienza».
L’inchiesta romana del pm Paolo Ielo sul «buco» dei dieci milioni di euro nelle casse del Viminale è in attesa intanto della rogatoria con Lugano. Le carte sequestrate promettono sviluppi clamorosi.
Guido Ruotolo