Da La Stampa, Geremicca:
In un solo colpo il partito
è riuscito a rinnegare
il suo passato e il suo futuro
Questa elezione sarebbe l’ultima vittoria del “vecchio Pd”
È un partito ben strano quel partito che nel passaggio più delicato di questa confusa e interminabile fase di post-voto, riesce a ferire e mortificare contemporaneamente il suo passato, il suo presente e il suo futuro. E però è precisamente quanto accaduto ieri al Pd nell’arco di una giornata dura e tesa, conclusasi con l’indicazione di Franco Marini per il Quirinale, tra la rabbia e la protesta della base scatenatasi sul web.
E’ furioso Matteo Renzi, cioè il futuro del Pd, il leader che domani dovrebbe e potrebbe riportarlo alla vittoria, secondo un giudizio che però pare radicato sempre più fuori che dentro il partito; è scettico e perplesso il presente del Pd, con Ignazio Marino (candidato sindaco a Roma) contrario all’indicazione di Marini, la candidata governatore in Friuli (Debora Serracchiani) che punta l’indice contro «una scelta gravissima» e la tenuta della coalizioni - cioè il rapporto con Sel - che rischia di andare in frantumi; ed è probabilmente assai turbato (per usare un eufemismo) il passato del Partito Democratico, cioè il professor Romano Prodi, visto che Sandra Zampa, deputata da sempre a lui assai vicina, annuncia: «Non voterò mai per Marini, è l’uomo che ha distrutto il governo ulivista, il più amato di questi venti anni».
Il quadro è pesante, il barometro indica burrasca e gli effetti di tanto nervosismo rischiano di deflagrare già stamane nella prima votazione per l’elezione del Presidente della Repubblica. A fronte dei 672 voti necessari per essere eletti (maggioranza dei due terzi nelle prime tre votazioni) Franco Marini dispone sulla carta di 739 voti. Ma sulla carta, appunto. Il margine di vantaggio è esiguo: una settantina di voti scarsi. E considerato che i renziani, parte dei giovani turchi, i prodiani e perfino molti veltroniani potrebbero non votare per Marini, si vede bene come la partita sia ad altissimo rischio per il candidato-presidente e per l’intero stato maggiore del Pd. Se ne è avuta una avvisaglia già ieri sera, nel voto con il quale i grandi elettori del Partito democratico hanno dato il via libera al nome di Marini: solo 222 i sì (su un totale, ma molti erano gli assenti, di 436).
La base in subbuglio, i giovani del partito in rivolta, Vendola che chiude la serata dicendo «se insistessero su Marini mi metterei di traverso e sarebbe la fine del centrosinistra»; e in più, gruppi di militanti arrabbiati davanti al teatro dove i grandi elettori davano l’ok alla candidatura di Marini. La giornata, insomma, si chiude peggio di come fosse cominciata: tanto che a sera tarda erano davvero in pochissimi disposti a giurare che Franco Marini sarà eletto - già stamane - Presidente della Repubblica. Un fallimento farebbe ripiombare la situazione nel caos più completo: e mostrerebbe una volta di più le difficoltà in cui si trovano le vecchie leadership.
Infatti è difficile sfuggire alla sensazione che - a dirlo con approssimazione - intorno alla partita dell’elezione del Capo dello Stato si sia giocato all’interno del Pd uno scontro durissimo tra «vecchi» e «giovani». Non è questione che riguardi solo il lungo duello Bersani-Renzi, perché la sensazione è che molte altre energie giovani comincino a scalpitare, insofferenti alle vecchie leadership. Se Franco Marini oggi dovesse farcela, potremmo esser però di fronte a quella che si potrebbe definire l’ultima vittoria del «vecchio Pd», di un gruppo dirigente - cioè - che fa quadrato, difende le proprie roccaforti e impone scelte che i «giovani» non sono più disposti ad accettare senza discutere e senza votare. Se Franco Marini dovesse invece soccombere sotto i colpi dei «franchi tiratori», è chiaro che la resa dei conti all’interno del Pd non potrebbe che esser accelerata, attraverso percorsi e atti perfino traumatici.
Oggi si capirà da che parte soffia il vento, e il rischio è che soffi così forte da far tornare in alto mare la soluzione dei doppio rebus (Quirinale-governo) che da quasi due mesi ormai paralizza la vita politica e le istituzioni del Paese. Per altro, di governo si continua a non parlare. A meno che, come ipotizzano Vendola e i critici verso un possibile accordo con Berlusconi, il patto stipulato da Bersani per Marini al Quirinale, non preveda un esecutivo di larghe intese col Cavaliere. Fosse così, però, la tenuta del Pd sarebbe davvero a rischio. Tanto che perfino una sostenitrice dichiarata di Marini, come Rosy Bindi, avverte che «se lui fosse il Presidente delle larghe intese, non sarebbe il mio Presidente»...
Federico Geremicca
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