ebook di Fulvio Romano

venerdì 26 aprile 2013

Ora sono gli "sfascisti" a contestare il 25 aprile...

Da La Stampa

ORA LA CONTESTAZIONE ARRIVA DAGLI “SFASCISTI”


Una volta a sporcare il 25 aprile erano i fascisti. Ora ci pensano gli sfascisti, quelli che la democrazia è sospesa ed Enrico Letta è come il maresciallo Pétain.

Ieri Nichi Vendola, a chi gli chiedeva un parallelo tra il governo di unità nazionale del dopoguerra e quello di larghe intese che (forse) sta per essere varato, ha detto che sono due cose imparagonabili perché «nel Cln non c’erano i fascisti».

Come dire che oggi, invece, ci sono. Infatti Paolo Flores d’Arcais ha detto che «il Pd sta rinnegando i valori della Resistenza, l’accordo con il Pdl insulta i partigiani». Un redivivo Di Pietro, poi, ha scritto sul suo sito che non riesce a festeggiare il 25 aprile perché «l’Italia di oggi non è un Paese libero e dopo le elezioni la Liberazione invece di avvicinarsi si è allontanata» (forse perché lui non è stato rieletto?).

Ma naturalmente il protagonista assoluto del funerale della festa di ieri è stato Beppe Grillo. «Il 25 aprile è morto», ha titolato l’home page del suo sito. È morto nella nomina di Enrico Letta («un membro del Bilderberg»), è morto «nell’abbraccio tra Bersani e Alfano», «nella rielezione di Napolitano», «nella mancata elezione di Rodotà», che era il suo candidato, forte di ben 4600 voti sul web e quindi unico vero rappresentante dell’intero popolo italiano.

Ovviamente, ciascuno è libero di pensare che un governo di larghe intese sia un errore. Così come ciascuno ha il diritto di desiderare che Berlusconi stia il più lontano possibile dal governo del Paese. Ma chi paragona un governo Pd-Pdl al fascismo e il berlusconismo al ventennio di Mussolini, offende - oltre che la propria salute mentale - la Storia e soprattutto la memoria di quelli che la Resistenza l’hanno fatta davvero. Di quelli che quando in Italia c’era la dittatura del Duce, e non quella «dei partiti», finivano in galera o al confino; che hanno poi combattuto contro i panzer della Wehrmacht e contro le SS; che sono stati torturati dalle Brigate Nere e fucilati. Offende la memoria dei cittadini italiani che sono stati emarginati dalle infami leggi razziali, e poi deportati nei Lager, e poi ammazzati con il gas, e infine sciolti nei forni crematori. Ma hanno mai letto, questi soggetti, una pagina di Primo Levi? O di Etty Hillesum? O il Diario di Anna Frank?

Se c’è un paragone, sia pur flebile, che si può fare tra il dopoguerra e oggi, è che si tratta di due momenti difficili. Certo ben diversi, perché allora si usciva da una guerra che aveva fatto cinquanta milioni di morti: ma comunque due momenti difficili. Democristiani e comunisti - cioè uomini ideologicamente molto più distanti di quanto possano essere distanti oggi il centrosinistra e il centrodestra - si misero insieme per salvare il Paese, e a quell’intesa si diede il nome di arco costituzionale. Oggi un accordo tra forze diverse è schifato come «inciucio». Certo: i protagonisti di oggi sono nani, in confronto ai giganti di allora. Ma chi usa con disprezzo il termine «inciucio» che alternativa propone? Andare alle urne con questa legge elettorale, ben sapendo che non avremmo di nuovo alcun governo? Evidentemente sì, preferiscono il caos. Per questo li abbiamo chiamati «sfascisti».

Sfascisti i quali, a quanto pare, vorrebbero che in Italia diventasse perpetua la stagione dell’odio, quella in cui si fa a gara a chi urla e a chi insulta di più: così potrebbero continuare a prosperare con le proprie attività politiche ed editoriali, che appunto di urla e di insulti si nutrono. Beppe Grillo ieri ha rievocato lo spettro del fascismo. Ma in questi ultimi tempi chi ha incitato alla marcia su Roma? Chi ha detto di puntare a controllare il cento per cento delle Camere? Chi telecomanda i suoi parlamentari a credere obbedire combattere, e guai a chi osa parlare di bocca propria?

Naturalmente, nel de profundis intonato al 25 aprile, Grillo non ha mancato di ricordare «l’informazione corrotta», nella quale ci inserirà senz’altro, magari ripetendo la sesquipedale balla del finanziamento pubblico ai giornali, sempre buona per additare nemici da odiare. Una cosa giusta, però, Grillo ieri l’ha scritta: che «se i partigiani tornassero tra noi si metterebbero a piangere». E pensare che a farli piangere sarebbe uno che una volta faceva ridere.

Michele Brambilla

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