I partiti costretti a firmare
una cambiale in bianco
Col fiato sospeso fino al sì di Napolitano, ora dovranno assecondarlo
Non chiamiamolo «colpo di Stato», alla maniera di Grillo. Eppure qualcosa di eccezionale ci vede testimoni: pur di trascinarsi fuori dai guai, gli eredi della partitocrazia (Pd, Pdl, centristi) hanno concesso carta bianca a Napolitano. Il 20 aprile 2013 passerà agli annali come l’inizio della fine, come la crisi terminale della Seconda Repubblica che rende ineluttabili riforme del sistema. Ma soprattutto, verrà ricordato per una cessione di sovranità politica che ha preso drammaticamente il via la sera di venerdì, nel caos seguito al capitombolo di Prodi; che ieri mattina è culminata in una processione al Quirinale di Bersani, di Berlusconi, di Monti e di Maroni; che si è conclusa poco prima delle 15 con il sì di Napolitano alla sua seconda incoronazione...
I partiti hanno firmato una cambiale, ora dovranno onorarla. Non c’è bisogno di immaginare chissà quali condizioni imposte da Re Giorgio. Una nota del Quirinale e un’altra da Largo del Nazareno hanno subito smentito patti occulti. Tuttavia la strada sembra spianata per un esecutivo sorretto dalle stesse forze che hanno supplicato in ginocchio il Capo dello Stato. Non ha torto Vendola quando grida disperato che «si va verso un governissimo»: magari avrà un’altra etichetta, si chiamerà governo del Presidente, adotterà il programma dei «saggi», potrà essere guidato da un premier alla Amato o da un politico come Enrico Letta, per citare due nomi molto gettonati, ma la sostanza poco cambia. Rispetto ai tentativi già falliti nelle scorse settimane, Napolitano ora ha frecce più acuminate nel suo arco. Come minimo, Pd e Pdl gli debbono gratitudine, sentimento che in politica evapora sempre molto in fretta e dunque spiega come mai il filo delle consultazioni verrà ripreso immediatamente, forse già martedì. C’è da battere il ferro finché è caldo. Inoltre l’uomo del Colle recupera il potere di sciogliere le Camere, di cui ovviamente non intende avvalersi, ma sui partiti ridotti come stracci (soprattutto il Pd) un possibile ritorno alle urne è argomento persuasivo non da poco. Infine, dove stanno le alternative?
Se mai fossero esistite, nella notte tra venerdì e sabato non ci sarebbe stato tutto quel frenetico rincorrersi di riunioni e telefonate, di contatti informali tra Silvio e Angelino da una parte, Pierluigi e Enrico dall’altra, con Napolitano inizialmente netto nel tirarsi indietro, e ancora alle 10 di ieri mattina parecchio restio, molto sul negativo, al punto che ambienti quirinalizi liquidavano come chiacchiere senza fondamento i «boatos» provenienti da Montecitorio. La svolta è maturata con la visita di Bersani sul Colle, senza dubbio l’unica vera mossa azzeccata dal segretario Pd, che è riuscito ad aprire una breccia nel «muro» presidenziale proprio mentre il solito Vendola rispondeva secco «non commento una rielezione che non esiste», e lo stesso Monti insisteva per eleggere la Cancellieri («Siamo fermi alla indisponibilità di Napolitano, bisogna rispettarlo), salvo spendersi più tardi anche lui nell’opera di persuasione.
Alla Camera si consumava la quinta inutile votazione, davanti al Palazzo di Montecitorio folle grilline ritmavano «Ro-do-tà-Ro-do-tà», e nello studio alla Vetrata Bersani si dava il cambio con Berlusconi. Chiaro il motivo per cui i democratici, che hanno visto la morte in faccia, si aggrappano alla ciambella di Napolitano; più misteriosa risulta invece la scelta del Cavaliere: difficile immaginarlo d’improvviso così cauto, serio e responsabile, dottor Jekyll e mr Hyde. Nell’entourage raccontano che il vuoto d’aria in cui è precipitato il Pd terrorizza pure lui, in quanto lo priva di qualunque «interlocuzione», Silvio non sa più con chi negoziare per l’Italia e per se stesso. Casomai Napolitano fosse stato irremovibile, gli avrebbe chiesto comunque una mano a scovare il nome giusto...
È arrivato al punto, il Pdl, da vietare per bocca di Alfano attacchi a Bersani in difficoltà, un’attenzione che non ti aspetti. Secondo il professor Becchi, spesso accostato a Grillo, è «la Casta che si ricompatta», e «pur di impedire il cambiamento è disposta a tutto». Ma forse c’è dell’altro, di più e di meglio che una difesa ottusa dell’esistente. Rinunciando in extremis alla sua «marcia su Roma», che doveva adunare «milioni di persone» nella protesta davanti al parlamento, lo stesso Grillo s’è reso conto che le spallate sono inutili: la transizione verso l’ignoto è già in atto, va solo accompagnata.