Da La Stampa
Non è un Paese
per i Padri
Dai Nonni ai Nipoti, saltando la generazione di mezzo
La cronaca politica italiana conferma un fenomeno da tempo segnalato da psicologi e psicoanalisti
Nonno e nipote. Quarantun anni separano Giorgio Napolitano da Enrico Letta. Se una generazione conta venticinque anni, qui ci sono quasi due generazioni di distanza. Qualcosa è accaduto, anche simbolicamente, nel nostro Paese in questi mesi, se dalla generazione dei nonni si è passati a quella dei nipoti, saltando invece a piè pari i padri.
Da tempo gli psicologi e gli psicoanalisti ce lo segnalano: i padri oggi mancano; la loro autorità simbolica ha perso peso, e di fatto si è eclissata. Il padre tradizionale, autoritario, dominatore, castratore, secondo la vulgata freudiana, Kronos che divora i propri figli dopo averli dominati, è scomparso. Nel Sessantotto i Figli hanno dato l’assalto all’autorità in ogni sua manifestazione: religiosa, politica, sociale, accademica, famigliare, sessuale. La critica antiedipica dei movimenti giovanili nel Maggio del 1968, e poi nella primavera del 1977, ha mandato in frantumi la figura dominante del Padre-Padrone: il sistema patriarcale è finito di colpo, e con lei la struttura stessa delle gerarchie tradizionali.
Pasolini lo aveva capito con chiarezza, e nelle sue Lettere luterane tentava un nuovo approccio pedagogico con Gennariello, il nuovo adolescente. Da allora, dalla fine degli Anni Settanta, i padri hanno cominciato a latitare. Nel 2011 Massimo Recalcati, psicoanalista di scuola lacaniana, in un suo saggio, Cosa resta del padre? (Cortina editore), ha descritto il cambiamento in corso, che sembra aver raggiunto il suo culmine proprio in questi giorni, orientando la forma stessa dell’autorità politica e statale. La composizione del governo Letta è stata salutata nei titoli dei giornali per la presenza di donne e soprattutto per la bassa età di molti dei suoi ministri. Prima di arrivare a questa soluzione, voluta fortemente dal Nonno Napolitano, si è cercato di eleggere dei Padri alla Presidenza della Repubblica: Franco Marini, Romano Prodi, e anche il più anziano Stefano Rodotà, che rappresentavano la generazione di mezzo tra il vecchio Presidente e il giovane presidente.
Secondo Gustavo Pietropolli Charmet, che da tempo studia le trasformazioni del mondo adolescenziale italiano (La paura di essere brutti. Gli adolescenti e il corpo, Cortina editore 2013), la sconfitta di Luigi Bersani è attribuibile, almeno dal punto di vista simbolico, alla sua incapacità d’incarnare una figura paterna, mentre Napolitano ha assunto il ruolo di Padre-Nonno accuditivo che interviene per placare la lotta tra i fratelli. Non il padre punitivo, bensì un padre dai tratti quasi materni, che provvede a separare i fratelli che si contendono il corpo della Madre-Patria, in un eccesso di litigiosità, fino ad agitare il fantasma sempre risorgente nella comunità umana della guerra civile.
Affidando al giovane Letta, il fratello più giovane della compagine fraterna, il governo del Paese, il Nonno-Padre ha inteso sancire, dice Pietropolli Charmet, un principio di giustizia al di sopra delle parti, o almeno di due delle tre fazioni in cui è diviso, dopo il voto di febbraio, il Parlamento. La lettura che lo psicoterapeuta fornisce delle ultime vicende italiane è quello dello scontro tra adolescenti, tra spavaldi e insieme fragili ragazzi, che non provano più un vero senso di colpa (il Padre è morto), ma piuttosto un alterno senso di vergogna: Narciso ha preso il posto di Edipo. Adolescenti narcisistici sono per Pietropolli Charmet il giovane Matteo Renzi e anche il più anziano Beppe Grillo, entrambi liberati dal senso di colpa verso l’autorità dei padri («Vi rottamiamo», afferma il primo; «Siete morti», urla il secondo), dediti alla continua valorizzazione del proprio Sé.
Per completare il quadro di una lettura psicologica della politica italiana, si può aggiungere la figura dello Zio trasgressivo, incarnata da Silvio Berlusconi, scavezzacollo, irresponsabile, play boy seduttore, privo di freni inibitori, che ha fatto, come scrive Recalcati in Il complesso di Telemaco (Feltrinelli 2013), del godimento un imperativo assoluto, un elemento che s’impasta con l’istinto di morte. Più di trent’anni fa, Pier Paolo Pasolini ha rappresentato tutto questo nei libertini del suo film Salò-Sade.
L’atto compiuto da Napolitano di passare il testimone al «nipote» Letta, reso palpabile dalla fotografia diffusa dalle agenzie, in cui il vecchio Presidente si protende felice nello stringere la mano al «nipotino», è il tentativo di bloccare una deriva pericolosa, almeno dal punto di vista simbolico, instaurata dal conflitto tra i fratelli-adolescenti, che oscillano tra la rivalità totale di Edipo e l’isolamento autistico di Narciso. Privi di figure paterne in grado di richiamare i figli all’ordine della Legge, il Padre accuditivo, Nonno quasi materno, ha cercato la tregua. Un gesto che tuttavia non sappiamo se avrà gli esiti che si propone, ovvero quelli di svelenire la lotta politica degli ultimi vent’anni.
Tuttavia l’elezione di papa Francesco sembra andare nella medesima direzione: la ripresa di una figura paterna che contiene in sé elementi materni, di protezione, tenerezza, parola quest’ultima che Mario José Bergoglio ha usato rivolgendosi ai fedeli. Dio che non è solo Padre, ma anche Madre, come aveva sostenuto nel suo breve regno papa Luciani. Dopo il balcone vuoto annunciato da Nanni Moretti in Habemus papam, in cui Recalcati, psicoanalista lacaniano, vede annunciati i due grandi sintomi del nostro tempo – afasia e amnesia –, sembrerebbe che papa Bergoglio indichi l’inizio di un’epoca nuova. Possiamo interpretare in questo stesso modo la nomina di Enrico Letta a presidente del Consiglio voluta dal Padre-Nonno?
Difficile dirlo. A molti è sembrato un ritorno all’indietro, a un’età politica precedente, quando la mediazione politica democristiana smussava gli spigoli acuti del conflitto, così almeno sino alla crisi degli anni Settanta. Possibile, ma la storia, come sosteneva Hegel, si nutre di astuzie che spiazzano le nostre convinzioni più profonde, e persino le previsioni più accorte.
Non a caso Recalcati, per descrivere la paternità nell’epoca ipermoderna, cita le pagine del romanzo dello scrittore americano Corman McCarthy La strada. Nel libro un figlio e un padre camminano sullo sfondo dell’apocalisse del nostro mondo: è la devastazione totale in un universo senza Padre e senza Dio, in cui la figura adulta si prende cura del giovane ragazzo sino alla fine: «Se io morissi», chiese una volta il figlio al padre, «tu cosa faresti?». «Vorrei morire anch’io», rispose il padre, «per poter restare con te». La cura come antidoto alla lotta e alla sopraffazione, chiosa lo psicoanalista. A questo siamo dunque arrivati? Non più di Padre in Figlio, bensì di Nonno in Nipote.
Marco Belpoliti
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