ebook di Fulvio Romano

martedì 30 aprile 2013

Chi pagherà le spese della costosa "agenda Letta"?...

... Viene spontaneo rispondere: i "soliti noti" già bersagliati da Monti...

Da La Stampa

L’agenda Letta? Costa almeno 12 miliardi


Gli interventi su tasse e lavoro di cui ha parlato ieri il premier potrebbero far salire il totale a 20 miliardi

Due le strade per il nuovo esecutivo: tagliare la spesa o rivedere gli impegni presi con l’Europa?


Col tono rassicurante di chi conosce il mestiere (tre figli all’attivo) Enrico Letta l’ha detta così: «faremo le cose possibili secondo il criterio del buon padre di famiglia, quello che non fa mai debiti». Facile a dirsi, difficile a farsi, soprattutto se di mezzo ci sono genitori dalle mani bucate o bambini carichi di desideri. La lista delle misure elencate dal premier, più o meno la somma delle richieste avanzate da Pd e Pdl vale almeno 10-12 miliardi di euro: Imu, Iva, aumento della dotazione del fondo centrale di garanzia per sostenere il credito alle piccole e medie imprese, rifinanziamento della cassa integrazione in deroga e missioni internazionali, conferma dei bonus energetici e per la ristrutturazione edilizia. Fin qui le promesse misurabili. Ma nel discorso programmatico del nuovo premier c’è molto di più: l’introduzione di un reddito di cittadinanza «soprattutto per le famiglie bisognose», il superamento del precariato nella pubblica amministrazione, gli incentivi fiscali all’innovazione tecnologica, il sostegno alla internazionalizzazione delle imprese, la soluzione al problema degli esodati. E poi «la riduzione delle tasse sul lavoro, a partire da quello stabile» e dei giovani. Somma qui, aggiungi là, il conto potrebbe salire rapidamente a 20 miliardi di euro.

Un libro dei sogni di berlusconiana memoria? «Si è fatto un po’ prendere la mano», ammette un amico deputato. Soprattutto se si tiene conto che lui stesso ha promesso di «rispettare gli obiettivi di risanamento presi a Bruxelles» e di voler ottenere la cancellazione della procedura di infrazione per deficit eccessivo vinta dal governo Berlusconi. Eppure l’ultimo documento ufficiale del governo parla chiaro: nel 2013 l’Italia è già molto vicina al tetto del 3%. Che farà dunque il buon padre di famiglia?

Fatti salvi quelli ai costi della politica (irrilevanti rispetto ai grandi numeri) Letta ha evitato accuratamente di pronunciare la parola «tagli». Lo spazio nel bilancio pubblico non mancherebbe, a partire da quell’enorme mole di «contributi alle imprese» - oltre trenta miliardi di euro - che ogni anno vengono distribuiti per metà ad enti e società statali, altrettanto alle Regioni spendaccione. Letta, allievo del rigorista Andreatta, sa bene che fra le pieghe del bilancio ci sono spese che poco hanno a che vedere con il sostegno alla crescita. Le circostanze però non giocano a favore dei rigoristi, almeno non abbastanza da permettere di finanziare ogni nuova spesa secondo il rigido criterio del buon padre di famiglia.

La strada che seguiremo, almeno in parte, sarà un’altra, e anche di questa Letta non ha fatto menzione esplicita: chiedere a Bruxelles la deroga agli impegni che formalmente dice di voler rispettare. Il vicesegretario Pd ne aveva parlato durante le consultazioni in streaming coi grillini, beccandosi la bacchettata del ministro delle Finanze tedesco Schaueble. Ieri è stato più generico: «nelle sedi europee ci impegneremo a individuare strategie per ravvivare la crescita». L’omissione è comprensibile: se Letta avesse fatto cenno all’ipotesi nel discorso di fiducia di fronte alle Camere probabilmente l’incontro di oggi con Angela Merkel - in piena campagna elettorale e pressata dai falchi antieuro - avrebbe preso una brutta piega. Ma è di questo che Letta inizierà a discutere (riservatamente) nel suo imminente tour europeo. In fondo è quel che l’Europa ha già detto di voler concedere e che ha concesso alla Francia prima e alla Spagna dopo. Con una differenza non trascurabile: il nostro debito pubblico (quest’anno toccherà il 130% in rapporto al prodotto) non ci permette uno spazio di manovra ampio. Secondo quanto riferiscono fonti governative il margine di trattativa per quest’anno potrebbe valere mezzo punto di Pil, più o meno otto miliardi, abbastanza per non compromettere la ritrovata fama di buoni padri di famiglia.

Twitter @alexbarbera

alessandro barbera

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