Da La Stampa
Ecco tutti gli uomini di Letta
Fuori i big, ministri più giovani
Record di donne nell’esecutivo
Nove Pd, cinque Pdl, due di Scelta Civica, una radicale
e quattro tecnici. Napolitano: “Ora reciproco rispetto”
Dopo due mesi e due giorni l’Italia ha finalmente un nuovo governo. Con sprezzo del pericolo, Enrico Letta l’ha annunciato alle 17,17, leggendo la lista dei ministri nella sala stampa del Quirinale. C’è da fare gli scongiuri? Il parto è salutato con gioia, ma la creatura è gracile e ha bisogno di essere accudita. Napolitano, che lo sa meglio di tutti, parlando subito dopo il nuovo premier, ha chiesto «spirito di ferma coesione... senza conflittualità e pregiudiziali, e con reciproco rispetto».
Come dire: cercate di andare d’accordo! Tra le tante novità di questo governo, infatti, la più importante è anche quella che rischia di passare in secondo piano, tanto è data per scontata. E cioè: questo è il primo esecutivo che mette insieme, dopo vent’anni di contrapposizione feroce, centrodestra e centrosinistra. Nozze riparatrici - si ripara in primo luogo la mancata riforma elettorale - e quindi obbligate. Per questo il presidente della Repubblica teme che si torni presto a litigare, e raccomanda a tutti di mettere l’interesse del Paese davanti ai vecchi rancori e ai futuri interessi elettorali. Prima di arrivare al divorzio, Pd e Pdl devono perlomeno affrontare l’emergenza economica, rifare la legge elettorale e dare ai cittadini la prova che la politica ridimensiona i propri costi e i propri privilegi. Fatto questo, e tolti quindi molti buoni argomenti all’antipolitica, possono anche tornare a dividersi. Ma non prima.
Le novità di questo governo, dicevamo, sono però tante. L’età media dei suoi ministri, innanzitutto: 53 anni, undici meno del precedente esecutivo. Il presidente del Consiglio e il suo vice sono addirittura sotto la media: 46 anni Letta, 42 Alfano. È poi il governo con la più alta percentuale di donne nella storia d’Italia: sette ministri su ventuno. È il primo governo con un ministro di colore, nata in Africa. Ci sono due sindaci, Zanonato e Del Rio, perché la gente chiede politici a contatto con le cose concrete di tutti i giorni. È un governo di svolta anche perché archivia una stagione: fuori i big, dentro le nuove leve. Solo due dei «politici» erano già stati ministri: Alfano ed Emma Bonino. Ma il dicastero assegnato alla Bonino - gli Esteri - è pure quello una novità: mai i Radicali avevano occupato un ruolo così importante.
Proprio questa esclusione della vecchia guardia è stato probabilmente il nodo più difficile da sciogliere. L’accordo è arrivato infatti una settimana dopo l’applauso bipartisan tributato a Montecitorio al rieletto presidente della Repubblica, il quale con parole dure aveva messo i partiti di fronte alle proprie responsabilità. Una settimana non è tanto, per fare un governo: ma già si era in un ritardo storico, e pareva che l’urgenza fosse stata recepita da tutti.
Quando però s’è trattato di passare dai buoni propositi ai fatti, le cose si sono complicate. Intanto non era facile trovare un accordo sulla linea politica, soprattutto su quella economica: la questione dell’Imu, ad esempio, è probabilmente ancora da risolvere. E poi c’erano i nomi dei ministri. I cosiddetti big non ci stavano a farsi rottamare. Reclamavano un posto, motivandolo con la propria esperienza, che è sempre utile, in particolare quando si tratta di navigare nella tempesta. Qui però è partito il sempiterno gioco dei veti incrociati. Se il Pd presentava D’Alema, Berlusconi poteva rispondere «e allora perché non anch’io»? Ci si è impuntati su diversi personaggi: Amato, Brunetta... Alla fine Enrico Letta ha imposto la linea del rinnovamento: fuori quasi tutti i «vecchi», dentro i nuovi. È stata una mossa giusta? Il ricambio generazionale va incontro alla domanda di gran parte del popolo italiano. Ma un governo pieno di pezzi grossi, cioè di personaggi che nei loro rispettivi partiti contano ancora molto, avrebbe probabilmente ridotto il rischio di una fine prematura. Insomma tra il rischio di apparire vecchi e quello di essere fragili, si è preferito affrontare il secondo. Solo il tempo dirà se è stata una scelta illuminata.
La «quadra» tra Pd e Pdl è stata trovata ieri all’ora di pranzo, dopo l’incontro a Montecitorio tra i due Letta (zio e nipote), Berlusconi e Alfano. Alle tre del pomeriggio il premier incaricato è andato al Quirinale. Mentre una piccola folla di curiosi aspettava in piazza sotto una debole pioggia - c’è stata perfino una surreale tentata incursione di protesta da parte di un gruppo sedicente «in difesa del cittadino basco» - Enrico Letta metteva a posto le ultime caselle con Napolitano. Solo alle cinque hanno aperto la sala stampa.
Dove Enrico Letta si è presentato appunto alle 17,17 con un «buonasera» alla Papa Francesco. Ha espresso «profonda gratitudine nei confronti del presidente della Repubblica» e una «sobria soddisfazione per la squadra che siamo riusciti a comporre». Di fronte a una folla di fotografi, teleoperatori e giornalisti, il neo premier ha presentato i suoi ventuno ministri come «competenze al servizio del Paese» e orgogliosamente, per due volte, ha sottolineato il «record di presenze femminili». Poi ha cominciato a leggere i nomi. «Una squadra che io spero coesa», ha detto alla fine dell’elenco, sapendo anche lui qual è il nervo scoperto. «Coesa», ha aggiunto, «e fortemente determinata».
Quando, subito dopo, s’è presentato Napolitano, è stato come veder apparire un uomo d’altri tempi e d’altri discorsi (altri rispetto non a Letta, ma alla politica cui siamo, ahinoi, da anni abituati). Lo Stato, la Costituzione, l’Italia, una politica che non deve guardare alle prossime elezioni ma alle prossime generazioni. Checché ne insinuino, Napolitano ha accettato la rielezione contro ogni suo desiderio. Sa che molti chiameranno questo esecutivo «del presidente», e allora dice subito che «non c’è bisogno di alcuna formula per definire questo governo». «È un governo politico», aggiunge, «secondo la prassi della nostra democrazia parlamentare». Sa anche che è un governo che ha già molti obiettori (soprattutto nel Pd) e allora spiega pure che «è l’unico governo possibile, la cui costituzione non poteva tardare oltre». Ringrazia per «lo sforzo paziente e tenace: una volontà di seria collaborazione era indispensabile da tutte le parti». Ancora: «Voglio ringraziare vivamente Enrico Letta, che è l’artefice principale. Io ho assecondato il suo tentativo». Poi, l’auspicio finale: «Che questo governo si metta a lavorare rapidamente con spirito di ferma coesione...» eccetera come scritto sopra.
Questa mattina, alle 11,30, i nuovi ministri giureranno al Quirinale. Daranno al Paese il senso di un cambiamento? Ci sarà Cecile Kyenge, 48 anni, medico oculista, nata in Congo e madre di due figli. Ci sarà Josefa Idem che è nata in Germania (anche lei 48 anni fa) ma che ha fatto otto Olimpiadi con la maglia azzurra. Si è italiani anche se si nasce altrove, questo ci dice intanto il nuovo governo Letta.
Poi, davanti al presidente Napolitano che quest’anno compie 88 anni, giureranno Nunzia De Girolamo che ha 37 anni, Beatrice Lorenzin che ne ha 41, Andrea Orlando, 44, Giampiero D’Alia, 46. Del governo uscente vedremo solo Filippo Patroni Griffi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Enzo Moavero Milanesi che resta ministro agli Affari europei e Anna Maria Cancellieri che passa dall’Interno alla Giustizia. Degli ex segretari di partito (Alfano a parte) ci saranno solo Dario Franceschini, Pd, che sarà ministro dei rapporti con il parlamento.
Adesso comincerà la discussione su chi ha vinto e chi ha perso, anzi è già cominciata. I numeri dicono che dei nuovi ventuno ministri, otto sono del Pd, cinque del Pdl, tre di Scelta Civica, una radicale, quattro «tecnici» (Saccomanni, Cancellieri, Trigilia e Giovannini). In più, il Pd ha anche il premier.
Ma sulla bocca di tutti, da ieri, c’è che il più soddisfatto è Berlusconi. Si dice che il vero vincitore sia lui. In realtà anche il Cavaliere avrà da oggi qualche grattacapo. Nella squadra di governo hanno infatti trovato posto le «colombe». I «falchi», come Santanchè e Brunetta, sono rimasti fuori; altri, come Verdini che non aspirava a un posto ma a una linea più dura, non sono stati ascoltati. E quindi qualche mal di pancia nel Pdl ci sarà. Ma niente in confronto a quelli che porteranno dal gastroenterologo mezzo Pd, che non digerisce l’alleanza con «il Caimano» e che teme di essere spazzato via, alle prossime elezioni, da Grillo, destinato ad egemonizzare un’opposizione in cui si troverà con Sel e (forse) la Lega.
Berlusconi era stato dato per morto quando dovette lasciare Palazzo Chigi e ancora pochi mesi fa, al tempo delle gloriose primarie del Pd, si diceva che il Pdl era attorno al 14-15 per cento. In poco tempo il Cavaliere ha ribaltato la situazione, «pareggiato» alle elezioni e oggi porta a casa i ministeri più importanti, dagli Interni alle Riforme Costituzionali.
Ma vedremo. In realtà tutti, sia nel Pd che nel Pdl, hanno interesse a che il governo duri nel tempo. Certo, per parteciparvi tutti hanno dovuto rinunciare a una parte di sé: ma si muore un po’ per poter vivere.
Michele Brambilla
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