ebook di Fulvio Romano

venerdì 5 aprile 2013

La sfida tra Renzi e Bersani è sull’onore del PD


La sfida
sull’onore
del Pd
di Luca RICOLFI

(da La Stampa)

E’ da un po’ di tempo che me lo chiedo: la scissione del Pd avverrà a destra o a sinistra?
Sì, perché fino a ieri davo abbastanza per scontato che una scissione ci sarebbe stata. Vista la disastrosa conduzione di Bersani, vista la cocciutaggine del gruppo dirigente.
E vista la determinazione dei renziani a dare battaglia, riuscivo a immaginare solo due scenari.
Scenario 1 (scissione «a sinistra»): il Pd volta pagina, Renzi conquista il partito, gli irriducibili fondano un partito a sinistra del Pd (Rifondazione democratica?), magari con Vendola e gli avanzi della lista Ingroia.
Scenario 2 (scissione «a destra»): il Pd si compatta intorno a Bersani, non concede le primarie a Renzi, e induce il sindaco di Firenze a fare una lista propria.
Non tutti se ne ricordano, ma due scissioni del genere sono già avvenute negli anni scorsi, con esiti disastrosi per gli scissionisti. Nel 2008, erano stati gli irriducibili dei Ds (autodefiniti SD, ovvero Sinistra Democratica) a tentare l’avventura con la lista Arcobaleno, nel 2009 era stato Rutelli a fare l’irriducibile, con la mai decollata Alleanza per l’Italia. Molti indizi, a partire dai sondaggi, fanno ritenere che oggi le cose andrebbero diversamente: il Pd è così diviso che c’è spazio sia per una robusta scissione a sinistra, sia per una robusta scissione a destra.
Da ieri, tuttavia, sono meno convinto che il Pd finirà per spaccarsi a metà come una mela. Ieri infatti è successo un fatto nuovo: Renzi ha rotto il silenzio che si era imposto e, in una intervista al Corriere della Sera, ha detto tutto (o quasi tutto) quello che pensa. Molte delle cose che Renzi ha detto non sono nuove. Ce n’è una, però, che – per il suo contenuto e per la forza con cui è stata detta – potrebbe produrre effetti importanti. Mi riferisco ai passaggi nei quali Renzi denuncia l’arroganza dei parlamentari grillini («un’arroganza che non si vedeva dai tempi della prima Repubblica») e solidarizza con Bersani, raccontando il proprio sconcerto di fronte all’incontro Pd-Movimento Cinque Stelle trasmesso in diretta streaming qualche giorno fa: «mi veniva da dire: Pierluigi, sei il leader del Pd, non farti umiliare così».
Anch’io, che non sono certo un fan di Bersani, avevo provato una sensazione simile a quella di Renzi: un misto di sconcerto, di pena, di rabbia. Ho un’età che mi permette di ricordare molto bene che cos’erano i militanti del Pci negli anni ’70, cos’erano i dirigenti, cos’era il segretario del più grande partito comunista dell’Occidente. Il Pci aveva mille limiti (che la sinistra paga ancora oggi), ma di una cosa tutti noi nati prima del 1960 siamo assolutamente certi: Enrico Berlinguer non si sarebbe fatto umiliare così. Quel partito e il suo gruppo dirigente avevano una dignità, un orgoglio, una compostezza mi verrebbe da dire, che mai e poi mai avrebbero reso possibile quel che oggi accade. Non tanto il fatto che un comico e i suoi discepoli deridano, insultino, svillaneggino quotidianamente i rappresentanti del più grande partito della sinistra (questo non lo si può impedire), ma che quei medesimi dirigenti derisi e svillaneggiati porgano l’altra guancia, corteggino, lusinghino chi li disprezza così profondamente.
No, questo con Berlinguer non sarebbe mai potuto succedere. Ed è curioso che a restituire l’onore al Pd, o quantomeno a provarci, non siano i pasdaran di Bersani, che sulle «radici» e sull’identità del partito avevano puntato tutte le loro carte, ma sia questo ragazzino bizzoso e un po’ strafottente, che però della politica pare avere un’idea alta. Un’idea secondo cui la parola data si mantiene, quel che si pensa lo si dice, gli avversari si battono in campo aperto, gli elettori – tutti gli elettori – meritano rispetto. Come la politica, appunto, che non può e non deve rinunciare alla propria dignità.
Ecco perché dicevo che, dopo l’intervista di ieri, non escludo più che il Pd riesca a restare relativamente unito, e ci riesca proprio grazie a Renzi. Fino a ieri il sindaco di Firenze rappresentava solo la componente liberale e dialogante del Pd. Da oggi, Renzi sembra candidarsi alla guida del partito anche come colui che ne difende la dignità e le buone ragioni. E, a pensarci bene, è del tutto naturale che questa difesa venga proprio da lui, e non dalla vecchia guardia. Non solo perché la «fortezza Renzi» è così poco compromessa con il passato da risultare inespugnabile dal grillismo, ma perché Renzi è l’unico dirigente del Pd che ha capito fino in fondo quanto sia sbagliato, nonché autolesionistico, il disprezzo per l’avversario. Il trattamento che i grillini stanno riservando al Pd, fatto di derisione e disistima, è il medesimo che il Pd ha sempre riservato all’avversario di destra. E’ possibile che molti dirigenti del Pd non se ne siano ancora resi conto, o non se ne facciano una ragione, ma la realtà è che Grillo sta al Pd come il Pd sta al Pdl. Fuor di metafora matematica: per i grillini la classe dirigente del Pd è impresentabile, esattamente come per il Pd lo è quella del Pdl. L’umiliazione del Pd, accusato dal Movimento Cinque Stelle di ogni nefandezza, è una sorta di contrappasso per vent’anni di disprezzo verso gli avversari politici.
Non è detto che Matteo Renzi riesca nell’impresa di restituire al Pd l’onore perduto, se non altro perché il passato prossimo di quel partito non è particolarmente onorevole. E tuttavia già sarebbe un grande risultato che il tentativo di Renzi sortisse almeno un effetto: quello di far comprendere a tutti, e innanzitutto al suo partito, che il disprezzo dell’avversario, la sua derisione e la sua umiliazione, sono solo il vecchio della politica, le scorie di un passato che speriamo non ritorni mai.
Luca Ricolfi