ebook di Fulvio Romano

martedì 26 settembre 2017

La "corruttela accademica"

LA STAMPA

Cultura

Alle origini

della nostra

decadenza

Poteva essere solo un ricercatore di sangue inglese, almeno per metà, a stupirsi, indignarsi e denunciare. Negli atenei italiani le intese di spartizione degli incarichi e delle cattedre agli allievi di quelli che una volta erano chiamati i «baroni» universitari è abitudine antica e collaudata. Un malcostume che per essere giustificato, con qualche sorriso di compatimento per coloro che non lo accettano, viene persino nobilitato definendolo «cooptazione» e giudicandolo come il solo criterio realistico di selezione.

Tale sistema è diffuso in tutte le discipline accademiche. Meno, naturalmente, in quelle in cui il legame con una parallela attività professionale non è così stretto e frequente, come lettere o matematica; di più, in quelle, come economia o giurisprudenza, in cui spesso la carriera universitaria è funzionale strumento di redditizie consulenze o lucrosi incarichi. 

La colpevole tolleranza e la complice omertà che consentono a questa «prassi» di essere riconosciuta come una regola occulta, ma ferrea, nella vita nei nostri atenei, tale che le inchieste giudiziarie come quelle di Firenze costituiscono le classiche eccezioni che la confermano, hanno però, nella società italiana d’oggi, conseguenze molto più dannose e più estese di quelle del passato. Colpiscono, infatti, uno, se non il più importante male del nostro Paese, l’intreccio perverso di corruzione dilagante, selezione antimeritocratica, immobilità sociale e mediocrità della classe dirigente.

Il principio liberista della concorrenza, infatti, quello che dovrebbe favorire l’affermazione del migliore e del merito nella competizione del mercato, viene sempre più aggirato da motivi di successo che sostituiscono alla capacità professionale, alla preparazione culturale, alla profondità dell’esperienza e, magari, all’onestà personale, la supina fedeltà al capo, un beota conformismo, la servile disponibilità ad essere complice di traffici illeciti, una mediocrità intellettuale rassicurante. Queste «doti», chiamiamole così, sono sempre più utili per vincere un concorso, appunto, ma anche per aggiudicarsi un appalto, per conquistare un posto in un consiglio d’amministrazione, per una brillante carriera dirigenziale e, in qualche caso, anche per trionfare nelle aule dei tribunali. Perché più si estende la corruzione, come possiamo constatare tutti i giorni in tutti campi, e più il vecchio motto «vinca il migliore» contraddice le reali esigenze della nostra vita civile.

Se il merito diviene un ostacolo e non un vantaggio, i risultati sono evidenti: la selezione si attua solo attraverso altri criteri e, quindi, la mobilità sociale si blocca, perché sarà molto difficile che si possano superare scale di denaro e di potere che impediscono ai figli delle classi meno avvantaggiate di ascenderle con successo. Ma questo male ha conseguenze che stanno minando gravemente le capacità professionali, culturali, tecnologiche, in generale, intellettuali, della nostra classe dirigente e politica. Una decadenza che rischia davvero di impedire al nostro Paese di competere con le classi dirigenti e politiche delle altre nazioni, europee e non europee.

La desolazione e l’amarezza di queste considerazioni potrebbero indurre il lettore a un nocivo pessimismo sul nostro futuro. Si impone, allora, un qualche immediato rimedio. A questo scopo, è forse opportuno concludere con una famosa barzelletta consolatoria diffusissima nei nostri atenei, quella intitolata al nome di un celebre matematico italiano,«Il teorema di Pincherle sui concorsi». Dice così: un importante barone universitario va in pensione e sceglie al suo posto un discepolo un po’ meno bravo di lui, perché la sua figura giganteggi in un confronto nostalgico. Così fanno tutti quelli che si succedono in quella cattedra, finché ne arriva uno così stupido che non si accorge di lasciare la poltrona a un allievo davvero bravo.

Forse, in Italia uno stupido così non è ancora arrivato al potere.

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Luigi La Spina


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