Esteri
Nel Paese torna il nazionalismo
“Poliziotti, attaccate i catalani”
La folla applaude gli agenti in partenza per Barcellona
La folla applaude gli agenti in partenza per Barcellona
Se non bastassero gli slogan risorgimentali in Catalogna, dal resto di Spagna arrivano altre immagini dal sapore antico. Dalle caserme di tutta la penisola escono camionette della Guardia Civil con a bordo gli agenti mandati a Barcellona per bloccare del referendum di domenica prossima. Ai lati della strada ali di folla con bandiere spagnole, strette di mano, incitamenti classici «Viva España» e il coro da stadio: «A por ellos, oè», espressione che si traduce in «diamogliele», «all’attacco», «facciamogliela vedere», a seconda del contesto (e questo non era amichevole). Le immagini, senza bisogno di sforzi di fantasia, evocano quelle dei soldati che partono per il fronte, con l’appoggio di quelli che restano. Se si aggiungono i filmati e le foto degli sbarchi dei poliziotti dalle navi da crociera al porto di Barcellona il risultato è un clima sempre più pericoloso.
Le immagini della folla festante non sono isolate, le prime arrivano da Huelva, poi da Siviglia, Granada, Santander, Guadalajara, tutte grosso modo uguali. A Cordoba sono andati oltre, con una cerimonia ufficiale nel cortile della caserma, alla quale sono stati invitati anche i giornalisti. Il ministero degli Interni spagnolo prova a mettere una pezza: «Sono manifestazioni spontanee per le strade», e per quanto riguarda il saluto in caserma «non ne sapevamo nulla». Anche nella capitale qualcosa si muove: il Partito Popolare di Madrid, che spesso scavalca a destra le posizioni del governo, ha proposto un giuramento di massa alla bandiera.
Spontaneità o meno, queste celebrazioni sono figlie di un sentimento che la questione catalana ha risvegliato nel resto di Spagna. Con l’apoteosi del nazionalismo territoriale riemerge quindi quello spagnolo. «Era un fenomeno scomparso o per lo meno dormiente - spiega il politologo dell’Università Autonoma di Madrid, Fernando Vallespín - ma ora si potrebbe risvegliare pericolosamente».
In Spagna, a differenza di quasi tutti i Paesi europei, non esiste un vero partito della destra xenofoba (lo stesso succede in Portogallo). Le ragioni sono molte, la fine della dittatura è relativamente recente (1975) e la capacità del Partito Popolare di inglobare e in fondo incanalare in un percorso democratico, le pulsioni autoritarie che pure resistono. La paura di molti, a partire dal governo, è che l’incendio catalano possa mettere in pericolo un equilibrio territoriale sul resto del Paese. «In giro si cominciano ad ascoltare discorsi dai toni reazionari da gente impensabile», racconta Iñaki Gabilondo uno dei padri del giornalismo spagnolo nella sua rubrica alla Cadena Ser «la verità è che non sappiamo quello che succede davvero fuori da Madrid».
Procede intanto la guerra del referendum: la procura ha ordinato ai Mossos, la polizia catalana, di presidiare i seggi per evitare che la gente possa votare domenica. I poliziotti si dovranno blindare scuole e centri municipali già dal sabato e impedire che si mettano delle urne «nel raggio di cento metri». Negativa la reazione delle forze dell’ordine di Barcellona: «Così si rischiano incidenti».
francesco olivo