ebook di Fulvio Romano

sabato 30 settembre 2017

Gentiloni: “Web tax, andiamo avanti solo con chi è d’accordo”

LA STAMPA

Economia

Tiene l’asse con Macron. Juncker: no alle due velocità


Non ci sono soltanto le difficoltà legate al post-voto tedesco a frenare lo slancio europeo. La due giorni di Tallinn ha confermato ancora una volta che le diverse posizioni tra gli Stati - spesso inconciliabili - restano il principale ostacolo sul cammino della Ue. Prendiamo la cena di giovedì sera, durante le quale sono state fatte «molte proposte, ma senza sostanza». Proposte «che ognuno interpreta come vuole». La lettura senza peli sulla lingua è di Dalia Grybauskaite, la presidente lituana che in queste occasioni sa sempre distinguersi dai colleghi perché non si nasconde mai dietro le frasi di rito che servono solo a ostentare un’unita di facciata. Che fare, dunque, se non si trova una sintesi? Macron e Gentiloni, in grande sintonia nel summit post-Lione, hanno una risposta: serve un’Europa a più velocità. È d’accordo anche Angela Merkel, ma in questa fase non ha alcuna voglia di alzare la voce sul palcoscenico europeo, troppo impegnata a sbrigare le grane interne. Gentiloni ha evocato chiaramente le due velocità parlando della Web Tax. Se non si trova un accordo a 28, bisogna procedere con la cooperazione rafforzata. «Avanti con chi ci sta», e gli altri rimangano pure indietro. Macron ha fatto capire che bisogna insistere in questa direzione, perché il piano presentato da Italia, Francia, Spagna e Germania (tassare il fatturato e non gli utili delle società digitali) è già stato appoggiato ufficialmente da altri sei governi e ulteriori nove sono d’accordo. «Diciannove Paesi sostengono questo progetto» ha detto fiero il capo dell’Eliseo. Teoricamente, potrebbero fare da soli. Ma l’idea non scalda il tavolo dei leader e anche la stessa Spagna preferirebbe coinvolgere tutti. «Noi crediamo sia meglio cercare un accordo con le altre capitali - confida una fonte diplomatica spagnola -, perché il nostro obiettivo è l’armonizzazione». 

Ma al momento resta l’intransigenza di nove Paesi, un terzo dell’Ue. Tra i più battaglieri, Malta, Irlanda e Lussemburgo. «Trattare l’economia digitale in modo diverso da quella tradizionale è sbagliato. Vuol dire non capire che nei prossimi dieci anni tutta l’economia sarà più o meno digitale» spiega il premier maltese Joseph Muscat. Gli fa eco l’irlandese Leo Varadkar: «Se l’Ue vuole essere leader nel digitale, la soluzione non è più regole e più tasse, ma il contrario». L’unanimità è un miraggio. Se ne sono resi conto ieri i leader durante la sessione pomeridiana del vertice. Tanto che il premier estone Juri Ratas, nella conferenza stampa finale, ha evitato di soffermarsi sul tema. Jean-Claude Juncker ha buttato in là la palla, dicendo che della questione «se ne occuperà l’Ecofin» e che la Commissione «farà una proposta l’anno prossimo». Il presidente dell’esecutivo Ue vuole evitare che un gruppo di Paesi parta con la cooperazione rafforzata, lasciando indietro gli altri: «Penso che troveremo un accordo» ha detto a fine giornata, dando però l’impressione di non credere troppo alle sue stesse parole. Anche Tusk predica «unità» e si è impegnato a lavorare in questo senso con una nuova road-map di impegni che presenterà tra un paio di settimane. Si è deciso di intensificare i vertici europei «informali» da intervallare alle riunioni del Consiglio europeo. Ce ne sarà uno a Goteborg a novembre, poi l’Eurosummit di dicembre, uno dedicato ai Balcani a maggio in Bulgaria, uno a Vienna a settembre del 2018 e infine uno in Romania nel marzo del 2019. I leader sperano di rivedere in questi summit il dinamismo tipico della Merkel che a Tallinn è mancato. 

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Marco bresolin


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