ebook di Fulvio Romano

mercoledì 31 ottobre 2012

Halloween, una tradizione nostra... (per una antropologia della zucca).

Passaggi stagionali e Miti dei Morti
Quante radici ha quella zucca di Halloween
Una tradizione nostra che si è fatta americana…

di Fulvio Romano

Cosa c’entra la zucca di Halloween con la notte di Ognissanti… Anzi, cosa c’entra questa festa tra l’orrido e il faceto d’importazione americana con le nostre feste dei morti…
E invece c’entrano gli Ognissanti (Halloween è contrazione dell’anglosassone “All Hallows Eve”, e cioè “Notte di Ognissanti”) e c’entra anche la zucca.
Ma bisogna fare un paio di passi all’indietro.
Riandiamo anzitutto ai poco conosciuti miti delle nostre montagne che riguardano i morti.

La sosta dei morti nell’”estelo du parc” di Bellino

Nell’antica tradizione orale di Bellino (alta Val Varaita) troviamo il riferimento ad una misteriosa “estelo du parc” che era in realtà una costellazione di stelle e non un unico astro. Si trattava dell’autunnale Pegaso che, se nella tradizione classica greco-romana divenne il simbolo del cavallo alato celeste, nella fantasia mitica della cultura occitana era invece lo stazzo, e cioè il recinto in cui si rinchiudevano le pecore, al riparo dalle insidie dei lupi e del tempo.
Ma in molte comunità precristiane, non solo europee, in Pegaso si cristallizzava un mito arcano e di ignota origine: le anime dei morti, in attesa di iniziare il lungo processo di purificazione-reincarnazione, sostavano nel recinto di stelle disegnato nel cielo da quell’ asterismo autunnale. Da qui, poi, dopo una sosta purgatoriale, avrebbero iniziato un lungo cammino nella Via Lattea, quello che diverrà il cristiano “cammino “in direzione di San Giacomo di Compostela.

il “dolcetto o scherzetto” di Sampeyre e Cossano

Nella vicina Sampeyre una tradizione antica descrive una specie di processione notturna dei morti (“er côrs”) fatta nella notte di Ognissanti per le vie del paese. E ancora: nella frazione San Bovo della langhetta Cossano Belbo, “nel pomeriggio che precedeva il giorno dei morti, squadre di bambini e bambine davano vita ad una questua particolare, chiamata “andare per anime”: si mettevano in testa un velo nero per sembrare forse ai morti e portavano una piccola cesta e poi andavano nei cortili delle cascine e dicevano pressappoco così: ”Date qualcosa in suffragio per le anime del Purgatorio” e ricevevano in cambio qualcosa da mangiare: un uovo, una manciata di fagioli, una cipolla”. (P.Grimaldi, il Calendario rituale contadino.). Sono le uova della questua cantata dai giovani delle Langhe, simbolo di rigenerazione e rinascita, ma anche quei particolari dolci chiamati “ossa di morto”, tipici del periodo.
Una sorta di “Cantè ‘ji euv”, quindi, che ricorda da vicino la tradizione del “dolcetto o scherzetto” (“Trick or Treat”), propria della notte della Halloween anglosassone: nella notte di Ognissanti i giovani vagavano di villaggio in villaggio elemosinando dolci in cambio di preghiere per i parenti defunti dei donatori. Preghiere che avrebbero reso più veloce il passaggio in paradiso.

Jack-o-Lantern: dal cavolo-rapa alla nostra zucca

Un viatico, questo, che avrebbe fatto senz’altro comodo al Jack-o-Lantern della tradizione irlandese il quale, dopo aver ingannato Satana proprio nella notte di Ognissanti, si trova impedito di entrare sia in paradiso che nell’inferno. Di qui la sua abitudine di andare in giro di notte al chiarore di un infiammato tizzone d’inferno collocato all’interno di un grosso cavolo-rapa.
E qui arriviamo alla zucca, perché se è vero che gli irlandesi usavano in origine i cavoli rapa, quando nel 1840 – dopo la terribile carestia seguita alla malattia della patata - arrivarono negli USA, scoprirono che le rape americane erano piccole, troppo piccole, ma anche che le zucche erano qui più grosse e soprattutto più facili da scavare e intagliare di quanto non lo fossero i cavoli rapa. Ecco perché, a tutt'oggi, Jack-o-Lantern è una zucca intagliata al cui interno è collocata una lanterna: simbolo stesso dell’anima del purgatorio, che non sta in paradiso né all’inferno.
I bambini, i giovani delle montagne occitane o delle Langhe che andavano ad elemosinare nella notte di Ognissanti per le anime del purgatorio ci rinviano pertanto direttamente ad una tradizione dalle remote origini.
Così la “Cucurbita Pepo” o, meglio ancora la “Cucurbita maxima”, e cioè la zucca quale noi la conosciamo, da ortaggio “moderno” e quindi poco adatto a ritrovare (scavando nei rizomi della tradizione) influenze antiche, diventa invece attraverso Halloween e Jack-o-Lantern un modello esemplare di “mito di sostituzione”: non più il piccolo cavolo-rapa, ma la grande “Cucurbita maxima” come veicolo che riporta sino a noi antichissimi miti dei morti della nostra tradizione più arcana.

romano.fulvio@libero.it