Cultura
Intellettuali
Un bersaglio
sbagliato
«Sono come pensionati davanti ad un cantiere, che guardano e dicono “Non ce la faranno mai”».
E’ l’ultima invettiva di Renzi contro gli intellettuali.
Come pensionato-intellettuale (del genere «professore di scienze sociali») che ha assistito anche al delinearsi all’università del nuovo tipo di giovane-politico di stile renziano, dovrei sentirmi offeso da questo attacco indiscriminato. In realtà semplicemente non riconosco più il tipo strafottente eppur diligente, ironico ma sensibile che sembrava emergere.
Ma forse Renzi ce l’ha con alcuni intellettuali-di-partito che frequentano gli ambienti da dove per altro proviene lui stesso. Non sembra vederne altri di intellettuali con la loro diversità e specificità. Il mestiere dell’intellettuale è quello di osservare, analizzare, studiare, tracciare scenari e ipotesi e calcolare le chance di successo delle iniziative in atto. Del resto tutta la quantità e la qualità di informazioni e di stimoli di cui vanno fieri i renziani non provengono forse da lavori e analisi di intellettuali-studiosi, magari nel frattempo disconosciuti?
Nella primavera scorsa, nella fase del «primo Renzi di governo», proprio su questo giornale, ho criticato alcuni amici intellettuali di primissimo piano, che non si limitavano a prevedere il fallimento dell’esperimento renziano, ma vi vedevano seri pericoli per la democrazia. Il loro mi sembrava un fraintendimento.
Il renzismo infatti è la culminazione di processi, da tempo individuati, che definiscono i nuovi tratti della democrazia – ci piaccia o no – ma non certificano la sua fine. Anche se viene spontaneo percepire questi tratti in termini svalutativi: dissoluzione dei contenuti ideologici, iperpersonalizzazione della politica, eccesso di carisma, inarrestabilità della «democrazia mediatica». Questa è la sfida per la nostra democrazia, non la sua fine. Ed è una sfida – anche di carattere scientifico – per molti intellettuali-studiosi.
Su questo sfondo il renzismo può apparire (ancora) una promessa o quanto meno una scommessa da affrontare. Non sono quindi (ancora) pentito di quanto ho scritto mesi fa, perché già in quel contesto Renzi veniva definito realisticamente «un grande dilettante di cui vediamo tutti i limiti». La sua aggressività e il suo anti-intellettualismo potevano essere letti come iper-reazione al fallimento di una politica di professionisti avallata anche da intellettuali.
Sono passati pochi mesi da quella congiuntura. Sappiamo quanto ossessiva sia la tempistica nell’immaginario renziano. Adesso l’anti-intellettualismo rischia di cambiare di segno. Rischia di diventare insofferente autosufficienza alla critica anche quando questa contiene la disponibilità a collaborare all’impresa. Se tale disponibilità non è né richiesta né gradita, mi dispiace per il renzismo che perde risorse ed energie. L’intellettuale serio continuerà a fare il suo lavoro (anche in pensione) perché serve innanzitutto il cantiere-Paese o la nazione, come si dice adesso.
Gian Enrico Rusconi