ebook di Fulvio Romano

venerdì 31 ottobre 2014

Gli zeloti del premier: una lunga tradizione italica ( Geremicca )

LA STAMPAweb

Cultura

Il dovere

di abbassare

i toni


di Federico Geremicca


Pare che Matteo Renzi sia di pessimo umore, da un po’ di giorni in qua. Del resto, non è difficile capirlo. Al di là dell’incontro (in chiaroscuro, per usare un eufemismo) avuto ieri con il Presidente della Repubblica, è una settimana che gli tocca - seppur dietro le quinte - vestire frettolosamente i panni del pompiere: cosa che certo non gli è usuale e che, in fondo, non crediamo ami fare.

Prima l’amico finanziere Davide Serra, con l’eccentrica idea di limitare il diritto di sciopero almeno nella pubblica amministrazione: una proposta che ha dato la stura a mille polemiche, compresa quella - insidiosissima - del governo «insediato» a Palazzo Chigi dai poteri forti. Quindi l’infelice uscita dell’onorevole Picierno - membro della segreteria Pd fino a un mese fa - che ha accusato Susanna Camusso di essere segretario della Cgil grazie a Congressi truccati a base di tessere false. Infine le manganellate agli operai di Terni (che ad alcuni sono sembrate addirittura il logico approdo dei ragionamenti, chiamiamoli così, di Serra e di Picierno) per le quali il ministro Alfano pare abbia passato un brutto quarto d’ora.

Ce ne è abbastanza, come si vede, per capire le ragioni dell’humor nero di Matteo Renzi. E se a quanto elencato si aggiunge la mossa di Maurizio Landini - l’amico Landini - che di mattina sorride e scherza col premier e di sera annuncia lo sciopero generale della Fiom, il quadro è ancor più chiaro. La gran mole di incidenti e di problemi non dovrebbe però impedire a Matteo Renzi di andare al cuore della questione, e di riflettere sulla battuta che è cominciata a circolare fin da subito dopo le prime scelte compiute in sede di partito, prima, e di governo, poi: il problema di Renzi sono i renziani...

Non è questione inedita, e molti altri leader, prima dell’attuale presidente del Consiglio, hanno dovuto fare i conti con lo zelo eccessivo di supporter della prima e della seconda ora. Chi ha memoria (e purtroppo una certa età...) ricorda ancora l’arroganza dei fedelissimi di Craxi, la cinica ironia del «cerchio magico» di D’Alema, la piaggeria oltre ogni limite di certi collaboratori di Silvio Berlusconi. Il fatto che non sia questione inedita, però, non significa che certi zeli non siano tutt’ora un problema: soprattutto in un momento di difficoltà e tensioni sociali come quello che il Paese attraversa ormai da anni.

Matteo Renzi sbaglierebbe a sottovalutare la questione (a cominciare, per stare sull’attualità, dalla scelta del nuovo ministro degli Esteri). E sbaglierebbe soprattutto perché il suo modo di far politica - la sua cifra, diciamo così - spinge chi intende esser «più realista del re», zelante interprete della linea, insomma, a tirar fuori castronerie delle quali, magari, è costretto a pentirsi un’ora dopo, ma a frittata ormai fatta. Una cosa, infatti, è la durezza - perfino l’atteggiamento provocatorio del leader - altro sono le uscite di replicanti ai quali, spesso, vengono riconosciute poca o nulla competenza e autorevolezza.

Inutile aggiungere che fatti incomprensibili in una democrazia matura (accuse volgari alla Cgil, l’attacco al diritto di sciopero, le manganellate a operai ad un passo dalla disoccupazione) oltre ad essere del tutto dannosi per il Paese, non aiutano nemmeno Renzi nel difficile cammino intrapreso. Finita (o sospesa, lo vedremo) la fase della rottamazione, dinanzi al premier c’è - o ci dovrebbe essere - quella della ricostruzione. Voltata una pagina, ne va iniziata un’altra: ed è proprio questo quel che si aspetta il tanto spesso evocato 41% dei cittadini che ha scelto il Pd a trazione renziana alle ultime europee. 

E’ vero, naturalmente, che pezzi del suo stesso partito, settori della Cgil e l’inossidabile casta della burocrazia di Stato, non intende arrendersi al cambio di fase imposto dal premier e lo osteggia con ogni mezzo, talvolta ricorrendo a loro volta a toni sopra le righe e strumentalizzazioni. Ma questo, come è evidente, non dovrebbe essere un buon motivo per buttarla in caciara un giorno sì e l’altro pure. E’ dovere e interesse dello stesso premier, in fondo, favorire il ritorno di un clima meno acceso. E lo è per due ottimi motivi: il primo è che a maggiori responsabilità non possono che corrispondere maggiori oneri e più pressanti doveri. Il secondo, invece, affonda le sue radici in un vecchio proverbio: chi semina vento raccoglie tempesta. Che non è cosa da augurare né al Paese né a un governo che ha di fronte un autunno-inverno complicati quanto mai.