di Fulvio Romano
(da "Ousitanio vivo" di settembre 2014)
San Michel, Miqueou, Micheu. Grafie diverse, ma lo stesso Santo, anzi Arcangelo, entità superiore agli umani, "sempre al cospetto di Dio". Da sempre venerato in Provenza-Occitania, così come in tutta Europa medioevale, dal Gargano alla valle di Susa e di qui fino alla Normandia per andare anche oltre, in Britannia. Fu dapprima onorato all'8 di maggio (data della sua prima miracolosa apparizione del 490 in Puglia), quindi - sempre in età medioevale- il 29 settembre, giorno della fondazione del santuario là dedicatogli. Quando, nel 1700, i viticoltori di Cassis si lamentarono presso il vescovo di Marsiglia perché i festeggiamenti del 29 settembre rischiavano di ostacolare il raccolto della vendemmia, furono accontentati e la festa tornò alla data originaria dell'8 di maggio. Entità sovrannaturale che ha sempre amato apparire salvifico agli umani, se ne ricorda l'intervento miracoloso a Roma contro la peste nel 589, mentre nel 1720 l'Arcangelo scelse la punta del campanile per apparire agli abitanti di Mentone, sempre per guarire la città dalla pestilenza. Insomma, un santo guerriero, importato dai Longobardi prima, e poi imposto dai Carolingi, raffigurato nella sua corazza argentea (come nell'affresco di Castelmagno) oppure aurea, come nella parrocchiale di Sampeyre o nel monastero di San Colombano a Pagno. Impugna la spada con la destra, con la sinistra regge la bilancia delle anime al Giudizio Finale, come in genere fa nelle nostre cappelle quattrocentesche. Un Santo lontano dalle devozioni tradizionali: poco contadino, anzi per nulla. Un milite celeste, che schiaccia il drago del peccato e del demonio (a Cuneo raffigurato, nell'affresco dell'edicola di via Savigliano, come una caudata e prosperosa sirena che, sotto il piede dell'Arcangelo, esala l'anima dalla bocca). Soltanto lo spostamento del suo "dies natalis" al 29 settembre poteva farlo tornare - non sappiamo se controvoglia- contadino, legato anzi ad una delle fasi più importanti ed onerose dell'annata agricola. "A San Miqueou leis figuo soun per meis oousoou": gli ultimi fichi vengono ormai lasciati agli uccelli, proprio come -di lì a poco- avverrà a San Martino per le castagne e gli ultimi grappoli superstiti della vendemmia, rinsecchita preda della povera gente. Così anche il Nostro, degradato a zappaterra, avrà a che fare con la pioggia ("Leis pluyos de San Miqueou s'arrestoun jamai oou céou"), ma anche - come è normale- col bel tempo fuori stagione, visto che nelle campagne si parlava di una possibile "piccola estate di San Michele". Ma il 29 settembre era, nelle Langhe, la data dei bandi della vendemmia, mentre in montagna si poteva aspettare ancora un po' per far maturare appieno le uve, e comunque per raccogliere tutto ciò che era ancora rimastto appeso sui rami degli alberi da frutta. Non solo, San Michele era anche e soprattutto il "jour desneipoire", della ytransumanza di ritorno, in cui il bestiame veniva riportato (magari con qualche ghirlanda appesa alle corna e dopo vertiginose ubriacature) dalle "mountanhes" a valle, prima che potesse nevicare. Se a tutto questo si aggiunge che la data era, insieme a quella di San Martino, quella dei traslochi contadini, si capirà il travaglio devozionale di un Santo che da entità superiore, perfetta macchina celeste da guerra, era oprmai diventata nei detti popolari contadini il simbolo-esempio di come - in mezzo a tutti questi affanni di fine stagione- si potesse andare fuor di testa: " Sa çarvello a fat San Miqueou".
Fulvio Romano