ebook di Fulvio Romano

martedì 10 marzo 2015

Il modello Rai di Renzi: Dalla Rai dei partiti a quella del governo

LA STAMPA

Italia

Il modello Bbc nella versione Renzi

Dalla Rai dei partiti a quella del governo

Il premier non tratta sul manager unico con poteri decisionali

Da mesi Matteo Renzi dice di volere cacciare i partiti dalla Rai e al tempo stesso lascia correre sui giornali uno schema di riforma che avvicinerebbe l’azienda televisiva pubblica italiana al modello della celebratissima Bbc. Nella quale - ecco il link delicato - il direttore generale è nominato da un organismo di emanazione governativa. Poiché il governo discuterà giovedì in Consiglio dei ministri uno schema di riforma, tutte le opposizioni si inalberano, accampando un medesimo argomento: guai se il futuro dominus della Rai fosse nominato direttamente dal governo. Al di là del gioco delle parti, con le opposizioni in qualche modo “tenute” ad osteggiare ogni progetto della maggioranza, il fuoco polemico contiene un dato di fatto oggettivo: con la riforma-Renzi si potrebbe effettivamente passare dalla «Rai dei partiti» alla «Rai del governo».

Per il momento, del progetto governativo si conoscono soltanto le anticipazioni fatte circolare da qualche settimana dai giornali, non smentite ma neanche confermate dall’entourage di Palazzo Chigi. Il governo sarebbe intenzionato ad avviare una rapida consultazione, ristretta ad un nucleo di esperti della comunicazione e subito dopo presentare un disegno di legge (e non un decreto) con le linee guida. La «nuova» Rai sarebbe guidata da un amministratore delegato, di nomina governativa e dotato di molti più poteri dell’attuale direttore generale. Una nomina da parte del ministero dell’Economia? O una nomina mediata da un organismo di garanzia, come nel Regno Unito? Nella Bbc il direttore generale è formalmente nominato dal Bbc Trust, composto da 12 membri nominati dalla corona su indicazione del governo in carica. Da Palazzo Chigi trapela soltanto una indicazione: sul metodo di selezione e nomina dell’ad massima apertura (anche se il sorteggio proposta dai M5S pare una presa in giro), ma l’importante è che alla fine il prescelto sia in condizione di decidere. Ma è proprio il ruolo centrale dell’ad nominato dal capo del governo a suscitare il fuoco polemico delle opposizioni. Per Stefania Prestigiacomo, di Forza Italia: «L’accentramento dei poteri nelle mani di un ad significherebbe che una sola persona decide per tutti, trasformando viale Mazzini in una sorta di foresteria di Palazzo Chigi». Per il presidente della Commissione di vigilanza, il cinquestelle Roberto Fico, «bisogna rendere la Rai indipendente dal potere politico, dei partiti e, soprattutto, del governo». E questo è il punto. Secondo Vittorio Emiliani, già membro del Cda Rai nella stagione Prodi, «il modello Bbc è virtuoso, ma bisogna tenere conto che lì c’è un’altra civiltà giuridica e politica e l’indipendenza del direttore è un bene pubblico. Da noi, fino al 2002, le azioni Rai sono restate nelle mani dell’Iri e questo ha garantito un pur minimo diaframma, ma ora la nomina governativa rischierebbe di riportarci ad un modello Eiar».

fabio martini


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