IL GOLEM PSICHIATRICO
Follia, miseria e linguaggio nel manicomio di Racconigi
Testo di Fulvio Romano
Nella voce Follia/delirio scritta per l'Enciclopedia Einaudi, Franco Basaglia osserva che la definizione giuridico-legislativa della psichiatria "pone fine all'ambiguità di una dottrina che, dichiarando di avere a che fare con una 'malattia', è sempre coinvolta a problemi ad essa estranei: pericolosità e ordine pubblico, ma anche miseria e indigenza".
Le prime leggi sugli alienati dell'Ottocento, infatti, definendo la malattia mentale in base alla presunta pericolosità del folle, affidarono alla psichiatria il ruolo di "branca della giustizia che punisce ogni sospetto di pericolosità" e fondarono l'istituzione ospedaliera, il manicomio, come "carcere in cui questa presunta pericolosità viene segregata. "La psichiatria come scienza nasce e muore nel momento stesso in cui si attua il contratto tra medicina e giustizia: da questo momento la psichiatria sarà definitivamente dalla parte della giustizia, quindi dalla parte del poteere, dimenticando il soggetto per il quale esiste e la cui sofferenza ha giustificato la sua stessa nascita".
Il saggio, forse il più importante contributo teorico di Basaglia, venne pubblicato circa un anno dopo l'approvazione della legge 180, quando colui che ormai era identificato dai mass-media con la legge che aboliva i manicomi dichiarava che il movimento psichiatrico si trovava in un guado, in uno di quei momenti di "congiunzione tra qualcosa che sta per sparire e ciò che ancora deve sorgere. Un po' come il "caso italiano". Abolito per decreto il manicomio, la malattia mentale ripropone contraddizioni e lacerazioni che la ragione pacificatrice e classificatoria del positivismo aveva ibernato: da rassicurante etichetta giustificatoria del ricovero coatto, da dramma isolato del folle, la sragione della follia torna a diffondersi nella società, a costituire potenzialmente un prezzo che tutti sono coinvolti a pagare."
Dopo la morte di Basaglia questa fase di transizione, in cui si trattava anzitutto di gestire ed applicare la 180, rischia di essere inquinata e vanificata dal tentativo di ritornare in qualche modo ad una situazione simile alla precedente. La riforma è giunta quando il vasto movimento che per un decennio aveva coinvolto le forze migliori in un obiettivo di cambiamento era ormai in gran parte rifluito; in un momento in cui i tradizionali interessi costituiti, rivitalizzati dalle suggestioni reaganiane, hanno potuto in tutta facilità disattendere o sabotare la 180. Così, soprattutto nelle province in cui mai prima della legge erano state tentate esperienze innovative, è stato facile strumentalizzare l'immediato e reale disagio dei parenti, delle famiglie. Si è denunciata l'"insufficienza" dei sette giorni di permanenza nei servizi di diagnosi e cura degli ospedali per riproporre lunghi periodi di ricovero all'interno non più di ospedali generali, bensì di "presidi ospedalieri e servizi psichiatrici con una specifica funzione terapeutica" (è il caso dell'ospedale Fatebenefratelli di San Maurizio Canavese, Torino). Si sono costituite, per lo più ad opera di privati, strutture residenziali intermedie, denominate, con un eufemismo foriero di molteplici confusioni, "comunità terapeutiche", alle quali il paziente accede, su invio dei servizi di salute mentale, senza specifici criteri di ammissione, spesso sradicato rispetto al suo consueto contesto esistenziale, senza un vero e proprio progetto e con permanenze prolungate. Ma non basta. Da più parti si chiede di sottrarre al medico e al sindaco il potere di disporre gli "accertamenti e i trattamenti sanitari obbligatori" previsti dalla 180, per riaffidarli al magistrato. La psichiatria, rotto il contratto con la giustizia e temendo di restar soffocata nell'abbraccio con la medicina degli ospedali generali, incapace di conquistarsi una autonomia epistemologico/terapeutica, preferisce ripensare con nostalgia all'identificazione fra malattia e pericolosità sociale, premessa teorica della riproposizione della lungodegenza e della restaurazione del manicomio.
Il 12 settembre 1871 entrarono nell'appena istituito Ospedale Neuro Psichiatrico di Racconigi i primi due ricoverati: una filatrice di 37 anni, di Monastero Vasco, e un carradore, 32 anni, di Barge. Erano i primi dei circa 34.000 mentecatti che in poco più di 100 anni saranno ricoverati nel manicomio della provincia di Cuneo, il "Racconigi" dell'immaginario collettivo. | ||
Raccolti i 288 "malati" sparsi in manicomi di altre province o negli ospedali generali dei vari comuni, il nuovo manicomio comincerà ben presto a creare al proprio interno quel sedimento di malati, eufemisticamente definiti cronici, ma affetti da social breakdown syndrome e cioè da istituzionalizzazione, che costituirà poi la maggior parte della sua popolazione. Al 1.1.1890 i ricoverati saranno 564, 924 nel 1919, 1154 nel 1945, 1407 il 1.1.1971, di cui 1282 "comuni" e cioè non paganti, sottoposti alla legge manicomiale del 1904. Il sedimento è l'oggetto necessario di una psichiatria che ha ottenuto il privilegio/dannazione di controllare gli individui "pericolosi" ed è il destino storico di una istituzione nata per contenere, sottrarre agli occhi | della società civile una sragione ed una sofferenza così profondamente legate alla miseria da richiedere la mediazione tecnica di un fattore insindacabile come la malattia. Dei 1282 ricoverati del '71, l'83% ha più d 40 anni, il 42% più di sessanta. E' gente invecchiata nell'istituzione, visto che il 51% vi si trova da più di 10 anni e il 27% da più di venti. Il manicomio, vero Golem psichiatrico, cresce fino a minacciare coloro stessi che lo hanno plasmato; vive autonomo con proprie regole di funzionamento: pur diminuendo gli ingressi, tuttavia le presenze aumentano a causa delle dimissioni, che si fanno sempre più rade.
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Il Golem respira da solo e ad ogni ingresso-degenza-dimissione, trattiene e sedimenta qualcosa: se il ricoverato non è dimesso entro l'anno non gli resta che il 25% di probabilità di uscirne vivo, passati 10 anni le probabilità scendono al 4%. Dopo 12 anni di ricovero ogni probabilità si annulla. E, nonostante la legge 180, il Golem psichiatrico è riuscito a trattenere alcune centinaia di lungodegenti, i senza patria, i senza famiglia, dipendenti ormai dall'istituzione anche per la propria esistenza, persone che la violenza del linguaggio adoperato, senza vergogna, da tecnici e legislatori definisce "residuo manicomiale". |
La realtà concentrazionaria del manicomio è vigilata e scandita dalla "scienza" psichiatrica con "il labirinto delle sue classificazioni": contadini, giornalieri, cucitrici, servi di campagna, stallieri, donne di casa, vengono tradotti in frenastenici, psicotici, schizofrenici con tutta la miriade di sottocasi e di specificazioni.
La miseria/povertà che urla nel delirio è incasellata nel Panopticon della ragione psichiatrica come evento morboso e diventa occasione di esercizio diagnostico, di compiaciuta reificazione di una soggettività negata, ridotta a dato organicistico abissalmente lontano da ogni considerazione per il corso storico, il mondo dei bisogni.
E l'ONP di Racconigi è fin dal suo nascere il carcere modello in cui la pietà per i "disgraziati" e "infelici" in preda al "morbo fatale", sublima e trasfigura la realtà della fame, dell'indigenza, dell'impoverimento totale dell'esistenza umana degli strati economicamente e psicologicamente più deboli della provincia. Già nell'Ottocento Racconigi segrega all'interno delle proprie mura per il 90% contadini, servi di campagna, giornalieri, piccoli artigiani e, quando la miseria/povertà diventerà miseria/crisi per il disastro economico e l'abbandono sociale di intere zone della provincia, si potrà rilevare un allarmante nesso tra entità dello spopolamento e numero degli ingressi in manicomio. L'ONP di Racconigi acquista così una sua drammatica specificità, funzionando da cartina di tornasole per quel vero e proprio genocidio delle popolazioni della montagna e della campagna povera, raccontato da Nuto Revelli nel "Mondo dei vinti". "Voce confusa con la miseria, l'indigenza e la delinquenza, parola resa muta dal linguaggio razionale della malattia, messaggio stroncato dall'internamento e reso indecifrabile dalla definizione di pericolosità e della necessità sociale dell'invalidazione, la follia non viene mai ascoltata per ciò che dice o che vorrebbe dire".
Fin qua, l'analisi, impietosa finchè si vuole, ma, purtroppo, difficilmente confutabile. Le pagine raggiungibili dal logo riprodotto qui a lato, invece, ospitano la voce di persone che furono internate a Racconigi. Buona e, soprattutto, fruttuosa lettura ai giovani e futuri operatori della salute mentale.