Italia
“Se me lo chiede il Paese, mi sacrifico”
L’effetto rieccolo della politica italiana
Da Berlusconi a D’Alema, da De Mita a Orlando: è la riscossa dei rottamati
Da Berlusconi a D’Alema, da De Mita a Orlando: è la riscossa dei rottamati
Ci si distrae un attimo e rieccoli tutti lì: Romano Prodi e Silvio Berlusconi, Massimo D’Alema e la sua vecchia costola Umberto Bossi, Leoluca Orlando che non ha nemmeno il buon gusto di incanutire, persino Ciriaco De Mita accompagnato dalla discrezione di un pensiero. Riemergenti per necessità, non loro, ma del Paese che parrebbe spingerli al solito atto di responsabilità, e cioè ancora al sacrificio. D’Alema sembra prendere la parola a nome di tutti: «Noi sentiamo l’urgenza di offrire agli italiani un’altra possibilità». Uno slancio colmo di nobiltà, e un uomo avveduto come D’Alema non avrà trascurato un’opzione: che gli italiani non sentano la medesima urgenza, e cioè di offrirla a lui un’altra possibilità. Ma è la democrazia. La sconfitta di Matteo Renzi al referendum e le trattative non particolarmente auliche né stentoree sulla legge elettorale hanno rimesso fiato a uomini e ambizioni (e spirito di servizio, diciamo): una legge della politica, e della vita, è che col tempo si scoprono le indispensabili virtù dell’esperienza. Compreso De Mita, ognuno dei riemergenti ha avuto la consapevolezza di essere il nuovo, sospinto dalla storia all’incarico del rinnovamento.
Per Berlusconi e Bossi non serve sostanziare, per Orlando nemmeno, forse neanche per Prodi, ma per D’Alema sì. Nel Pleistocene della nostra memoria fu un innovatore sin dai tempi della Federazione dei giovani comunisti negli anni Settanta, e poi del Pci negli anni Ottanta quando si trattò di sostituire Alessandro Natta con Achille Occhetto, e di nuovo un innovatore del Pds quando si trattò di sostituire Occhetto con sé medesimo, cioè il volto nuovo, finalmente. Nel 1992, venticinque anni fa, D’Alema già sentiva le urgenze: «Un governo con programmi diversi e volti nuovi». L’idea che circolava di un altro governo Craxi gli faceva intravedere la «sciagura», poiché, ancora, «servono volti nuovi». Settembre 1997 (poi non vi annoiamo più): «Si sta formando una classe dirigente che ha caratteristiche ben diverse da quella che ci ha preceduto. Una classe dirigente giovane, appassionata, che mostra al Paese intero il volto di una nuova Italia». Ecco, siamo stati tutti rottamatori. Magari con un lessico più contenuto e risultati migliori. E che c’è di più naturale che resistere alla ruota che gira? L’altra sera, a Bari, D’Alema ha spiegato perché non si tira indietro: «È evidente che per un movimento che nasce ci sarà bisogno di candidare delle personalità. Quindi se i cittadini pugliesi mi chiederanno di essere candidato, mi prenderò le mie responsabilità».
Ecco, la personalità si sacrifica. Non si sottovaluta il rischio di avere affiancato D’Alema a Renzi, e ora di affiancarlo a Berlusconi, ma «sacrificio» e «responsabilità» sono stati i motori, per autodichiarazione, di un’intera carriera politica. «Restare a Palazzo Chigi e alla guida del centrodestra vi assicuro che è un grande, grandissimo sacrificio» (Berlusconi, giugno 2011). «Il senso di responsabilità verso il mio Paese mi ha costretto a scendere in campo anche adesso». Quest’ultima è dello scorso novembre e chissà il novembre prossimo, dopo che la Corte europea dei diritti dell’uomo avrà giudicato l’incandidabilità di Berlusconi. In genere ci vogliono sei mesi (quindi si va a maggio 2018) per la sentenza, ma l’arrivo delle elezioni potrebbe consigliare alla Corte un po’ di sollecitudine. L’idea che il vecchio capo rimetta insieme la vecchia squadra ha innescato la contromossa permanente: Prodi! Il quale Prodi ha sufficiente amor proprio per restare zitto, e vedere l’effetto che fa, mentre a sinistra la potenziale coalizione s’allarga e s’allarga, e più s’allarga più necessita del miglior federatore di tutti i tempi. Prodi! Sembra di tornare ai tempi dei Bellissimi di Retequattro, i film di seconda serata con Cary Grant e Ingrid Bergman, intanto che qui si controllano i rendimenti azionari di Netflix.
E non è una semplice impressione. Non è soltanto la deformazione della nostalgia. È proprio l’urgenza di cui parla D’Alema. Se Berlusconi ritorna al futuro gli vanno dietro tutti, ognuno con la propria urgenza. «La stella polare del Nord è la Padania, non la Lega. La Lega è uno strumento, e se uno strumento non serve lo puoi fare anche sparire», ha detto Umberto Bossi al raduno del Grande Nord, il movimento dei leghisti intolleranti del sovranismo nazionale di Matteo Salvini. «Siete troppo legati al presente. Inventate una via d’uscita dalla palude che ha creato Renzi, non rassegnatevi. Gli ex democristiani del Pd non parlano, sono muti, non so se sono vivi o morti», ha detto Ciriaco De Mita una settimana fa a Napoli. «Non voglio fondare un quarto polo, voglio stanare i democristiani», ha detto. Visto da qui, e con la folla vociante, De Mita è diventato un colosso, alla cui ombra sognare la rinascita della Dc. Insieme alla rinascita di D’Alema, dell’Ulivo, della Padania, dello spirito forzitaliano del ’94, cose così diverse e così lontane tenute assieme dal vero immarcescibile: Leoluca Orlando, che fu sindaco di Palermo con la Dc nel 1985, e rottama rottama, ancora sindaco è.
mattia feltri