martedì 25 ottobre 2011
Arriva novembre e torna l’oca di san Martino
San Martino e novembre sono indissolubilmente legati nel calendario contadino. L'11 novembre, le sue tradizioni, i suoi cibi, le feste e persino il suo clima, nascondono e rivelano allo stesso tempo la cifra per capire il principio, lo svolgersi e l'andamento di quel calendario. Ad esempio, colpisce l'apparire sul proscenio dell'anno agricolo e silvestre, che inizia appunto a novembre, di alcuni animali mitici, rituali e totemici, che -protagonisti dell'immaginario e della vita materiale della civiltà antica- sono oggi del tutto scomparsi, sia dall'uno che dall'altra. O quasi del tutto, naturalmente. Dell'orso già sappiamo, del suo letargo che inizia con san Martino e della sua identificazione (appannata da noi, ma ben presente sui Pirenei) con il vescovo di Tours. E' la sua versione domestica ad essere ancora presente: l'Orso Martino, l'orsetto dei bambini continua a rassicurare i grandi dell'avvenuta supremazia sul selvatico ed aiuta i piccoli umani a conciliarsi emotivamente con quello, nel lungo tentativo di svilupparsi l'immaginario. Ma ci sono altri animali mitici legati proprio a san Martino. Uno è l'asino, e Martino è stato per secoli il nome dell'asino oltre che dell'orso. Nominazioni di cui si conserverà probabilmente solo la seconda, per i motivi di cui sopra. Ma c'è un altro animale totemico che spunta dietro la tonaca del vescovo di Tours, come di fatto avviene in alcune sue statue e rappresentazioni antiche: l'oca. Animale trascurato oggi, eppure così presente nella nostra tradizione, aveva nella civiltà occitanica una presenza sicura. Ancora una volta dovuta a san Martino. "Oche, castagne e vìn, ten tut per san Martìn", recitava un adagio di cui riconosciamo in genere solo i legami col vino e le castagne, mentre l'oca è decetta, dimenticata. Eppure quello dell'oca era il piatto della festa annuale che si celebrava tra i Santi e Martino, vero e proprio carnevale anticipato, che precedeva l'antica "prima" Quaresima, quella dell'Avvento. Una festa sguaiata, come dev'essere quella carnevalesca, che prevedeva bevute e crapule infinite, prima dei rigori invernali. L'oca di san Martino, ancora oggi piatto d'onore a novembre in Austria e Germania, oppure nella Francia del Nord. Ma che era consumata anche qui da noi, un tempo a spese delle oche selvatiche che a sant'Uberto, 3 di novembre, partivano verso il Sud ("A la Saint-Hubert les oies sauvages fuient l'hiver") e poi con il sacrifico rituale e culinario delle oche casalinghe che a novembre raggiungevano il culmine del grasso. Grasso per noi è maiale, ma prima ancora era oca, il maiale dei poveri, foriero delle riserve di lipidi per il lungo inverno. Cucinata a lungo e adagio per superarne la fibrosità (solo i bravi cuochi di carne sanno cucinarla) se ne ricavava il "confit", piatto popolare diffuso in tutta la Provenza - Occitania. Con l'oca di san Martino iniziava quel ciclo della carne invernale che avrebbe poi avuto il suo culmine con il maiale di sant'Antonio, al 17 di gennaio. Tempo del grasso, che si sarebbe concluso con il Carnevale di febbraio-marzo (l'unico dei due carnevali ad essere sopravvissuto) ,in coincidenza con il risveglio dell'Orso della Candelora. Ma questa è un'altra storia.
romano.fulvio@libero.it
(da Ousitanio Vivo, novembre 2011)