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domenica 18 agosto 2013

Un classico: B. più falco dei suoi falchi ..

LA STAMPA

Italia

Berlusconi pronto allo scontro finale

Un ministro Pdl: “Se il Pd vota la decadenza, addio alleanza”. Ma ad Arcore si spera ancora in Napolitano

Agli occhi di Berlusconi, il governo è già virtualmente caduto. Dai discorsi che faceva ieri in privato, e puntualmente filtrati all’esterno, la crisi sembra ineluttabile, forse pure nuove elezioni. Questione di settimane. Se il 9 settembre il Pd voterà in Giunta al Senato per cacciarlo dal Parlamento, entro pochi minuti i ministri Pdl rassegneranno le dimissioni perché, confida uno di loro, «perfino se Berlusconi non ce lo chiedesse, mai potremmo restare al fianco di chi avrà sancito la decadenza del nostro leader». Il Cavaliere è arci-convinto che l’esito sia scolpito nel marmo, che né i Democratici né Napolitano faranno nulla per scongiurare l’ineluttabile, anzi. Considera una pia illusione la speranza, coltivata tra le «colombe» del suo partito, di strappare al Pd almeno una dilazione. Si va convincendo che, se scontro finale dovrà essere, meglio affrontarlo subito con l’animo determinato di chi non ha più nulla da perdere, neppure la libertà personale. Per cui in queste ore, vissute nel centrodestra con un senso di crescente sfiducia nel Capo dello Stato, nel premier «che se ne lava le mani» e nelle larghe intese, il barometro politico volge decisamente al peggio. Berlusconi è più «falco» dei suoi «falchi».

C’è chi, come il presidente di Mediaset Confalonieri, ancora spera che Silvio si fermi un attimo prima del patatrac. Ma nel gruppo dirigente Pdl non c’è uno cui sfugga la gravità della situazione. È tutto un tambureggiare di altolà, un martellamento di ultimatum, confusamente rivolti al Pd, al Capo dello Stato o a entrambi. Capezzone: «Tutti sono chiamati a trovare una soluzione». Bondi: «Deve arrivare prima che si pronunci la Giunta, altrimenti sarebbe estremamente difficile, se non impossibile, continuare a sostenere questo governo». Osvaldo Napoli: «Se il Pd continua ad arrovellarsi su come far fuori Berlusconi, si accorgerà che dovrà prima far fuori il governo». Cicchitto: «Per tenere in piedi il governo occorrono spirito costruttivo e volontà di mediazione, cioè l’opposto di quanto mostrano alcuni esponenti del Pd, da Zanda alla Bindi».

La via d’uscita non c’è, eppure si vorrebbe che qualcuno la trovi. Lo stesso Berlusconi, secondo chi l’ha sentito, è vittima di una certa confusione. Da una parte manifesta sfiducia verso Napolitano, «non mi darà mai una mano»; dall’altra gradirebbe che fosse proprio il Presidente a tirarlo fuori dai guai giudiziari. E ciò sebbene risulti chiaro ai suoi avvocati (ieri Ghedini era inchiodato al lavoro) che il Quirinale nulla può. Neppure una grazia tanto generosa quanto immediata eviterebbe al Cavaliere la decadenza da senatore, in base alla legge Severino, con conseguente rischio di arresto su mandato di qualche Procura. Per restare in Parlamento, a Berlusconi servirebbe disinnescare la legge con l’aiuto (o la complicità) del Pd. Sa benissimo che non avrà né questa né quello. Dunque si prepara a vendere cara la pelle.

Pare crollata anche l’ultima diga capace di trattenere l’ira del Cavaliere: cioè la paura che dopo Letta non si torni immediatamente alle urne. E invece di sciogliere il Parlamento, Napolitano riesca a mettere in piedi un altro governo finalizzato a colpire il Pdl (riforma elettorale tipo Mattarellum) e le aziende del Biscione (legge sul conflitto d’interessi, tetti alla pubblicità televisiva). «Ci provassero», è la sfida lanciata da Arcore. Dove hanno fatto i loro conti, non credono che in Senato quel governo avrà mai i numeri. E pure se li trovasse, vivrebbe di vita effimera, un ottimo punching-ball per la campagna elettorale della destra.

ugo magri



sabato 10 agosto 2013

Per il già Cavaliere suona l'ora dei Falchi...

LA STAMPA

Italia

La vendetta del Cavaliere per la grazia che sfuma

Prima che sia valutata, dovrebbe accettare la sentenza e lasciare la politica

L’ ultimatum di Berlusconi sull’Imu è un segnale di disperazione politica. È il riflesso condizionato di un uomo con la giustizia alle calcagna, che in queste ore sente scivolargli tra le dita l’ultimo salvagente cui si illudeva di aggrapparsi: la grazia presidenziale.

Chi sta vicino al Cavaliere racconta di contatti molto informali con il Colle, che non avrebbero dato i risultati attesi dalle parti di Arcore. Di qui la reazione veemente sull’Imu e la tentazione sempre più forte di far saltare il banco, muoia Sansone con tutti i Filistei, tipica di quanti non hanno più nulla da perdere, neppure la libertà personale.

Giovedì pomeriggio, tra le ore 16 e le ore 19, ben tre ambasciatori accreditati sul Colle hanno riferito a Berlusconi che l’atto di clemenza nei suoi confronti, se mai verrà concesso, non arriverà prima del 15 ottobre. E sarà comunque subordinato a condizioni rigorosissime tali da configurare nel loro insieme un’uscita di scena, l’addio definitivo di Silvio al grande palcoscenico della politica. Primo, niente più polemiche contro la magistratura. Secondo, Berlusconi accetti la sentenza e i suoi corollari, vale a dire l’espulsione dal Parlamento, l’eventuale detenzione domiciliare oppure un impiego ai servizi sociali. Terzo, l’ex premier formuli un’espressa domanda di grazia, senza pretendere che il Capo dello Stato gliela conceda «motu proprio» sull’onda di manifestazioni e proteste orchestrate dal Pdl.

Solo ove tutto questo si realizzasse (così hanno riferito gli ambasciatori), allora forse maturerebbero le condizioni per un provvedimento di grazia, tutto da studiare nelle sue modalità. Più di così sarebbe impossibile chiedere al Presidente, che mai comunque si presterebbe a concedere «salvacondotti». Sul Colle nulla suona più offensivo di certi moniti lanciati dal Pd, secondo cui «la legge dev’essere uguale per tutti»: come se lui, Napolitano, avesse bisogno di farselo ricordare dal suo partito d’origine... Proprio ieri mattina l’intero gruppo dirigente democratico è salito al Quirinale, e tutto lascia immaginare un franco chiarimento in proposito.

Dire che Berlusconi ci sia rimasto male, sarebbe eufemistico. Il clima dalle sue parti è di autentica tregenda. Attendere fino al 15 ottobre viene considerato un suicidio, nella premessa che già prima di quella data altre procure (ad esempio Napoli, dove Berlusconi è sotto inchiesta per corruzione di senatori) potrebbero profittare della decadenza da parlamentare per stringergli le manette ai polsi. Ma soprattutto, viene respinta come irricevibile la condizione di fondo posta dal Quirinale per l’atto di clemenza, vale a dire un addio alle armi, bandiera bianca e ritiro di fatto dalla politica. Il Cavaliere pretende invece di tirare avanti come se non lo avessero condannato, e la condanna fosse anzi una medaglia al valore. Sta dando la caccia (senza successo) alle bobine originali dell’intervista che il giudice Esposito ha rilasciato al «Mattino», nella speranza di trovarvi affermazioni talmente spropositate da invalidare la sentenza. Nel frattempo, sull’Imu, Berlusconi fa assaggiare un antipasto del caos in cui verrebbe trascinata l’Italia se lui desse ordine, come nel film del «Gladiatore», di scatenare l’inferno. Soltanto un intervento in tackle dell’avvocato Coppi ha messo in forse una tournée di comizi berlusconiani che la Santanché aveva già messo in cantiere per fine agosto a Capri, a Forte dei Marmi, a Cortina. Verdini sta facendo i conti sui numeri necessari, in Senato, per tentare di rendere ineluttabili nuove elezioni, e pare siano stati presi contatti perfino con i grillini. È più che mai l’ora dei «falchi». I quali, se non altro, mostrano cuore e sentimento, si sbattono per Berlusconi nell’ora più difficile, gli si stringono intorno profittando anche dell’assenza del segretario Alfano che non aveva previsto questo dramma quando aveva fissato le vacanze, ed è partito giovedì lasciando campo libero ai signori della guerra.

ugo magri


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