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venerdì 6 giugno 2014

Sulla Rai Santoro è con Renzi


Michele Santoro: "La Rai è il vecchio. La scossa di Matteo Renzi è un'opportunità"

Sulla questione Rai, Michele Santoro sta con il presidente del Consiglio. E ne parla in un'intervista a Repubblica. E afferma: "Renzi, che ha nell'intuito la sua qualità più grande, ha capito che la tv pubblica è l'ultima sopravvissuta del vecchio sistema politico: una mosse coerente".

Cosa l'ha colpita del suo attacco?

Soprattutto quel che è accaduto dopo: Grillo che sui mette a difendere lo sciopero, presentandosi così come l'alfiere del passato. E l'alleanza tra la parte spodestata del Pd e Forza Italia. Renzi li osserva dall'altra parte. Un capolavoro politico.

Fosse in Rai farebbe sciopero?

Penso di sì, resto "un vecchio comunista": se il mio sindacato me lo chiede non faccio il crumiro.

Cosa vuole fare veramente Renzi?

Ecco, nel progetto sta la sua debolezza. Infatti temo che non sia ispirato da una visione profonda. Togliere senza preavviso 150 milioni di euro, il 10 per cento degli incassi del canone, significa costringere l'azienda a tagli lineari, a ridimensionare il prodotto. Ma del resto il premier sa che in quel 41% che l'ha votato si condensa un senso di rimorso collettivo, per tutto quello che non è stato fatto, per i giovani traditi, e pertanto si comporta di conseguenza.

Lei ha votato Pd?

Non sono andato a votare.

Non è troppo indulgente con la Rai?

La tv generalista è in crisi profonda. Dieci anni fa la somma degli ascolti ammontava al 94 per cento, oggi siamo precipitati al 54 per cento. Eppure i video sui siti online restano un elemento fondamentale. Segno che bisogna ripensare tutto.

mercoledì 4 giugno 2014

L'incubo share. Giovani in fuga dalla tv pubblica

LA STAMPA

Italia

Incubo share, Mediaset si avvicina

Giovani in fuga dalla tv pubblica

Perso in due anni il 17% degli under 44. I coetanei di Renzi

la Rai ha un doppio problema: il primo istituzionale per il decreto Irpef che impone un taglio di budget alla Tv pubblica di 150milioni di euro, il secondo con i propri telespettatori. E quest’ultimo, per il professore Mario Morcellini (ordinario di comunicazione alla «Sapienza» di Roma), «è più grave del primo», non foss’altro perché imporrebbe «una rivoluzione di palinsesti e un ripensamento del modello dal punto di vista culturale». Insomma, cifre e tabelle fanno più paura dei tagli. Se a questo si aggiunge - come peraltro ha spiegato il consigliere di amministrazione, Antonio Pilati - che la «Rai ha ridotto negli anni gli investimenti, e che il costo del lavoro è pari al 36% dei ricavi (995 milioni di euro l’anno, mentre per Mediaset il costo del lavoro incide per il 13% dei ricavi) allora, c’è davvero da preoccuparsi. A partire dallo share, e dinanzi alla «fuga» dei giovani dai programmi di viale Mazzini. Il punto dolente è anche il pubblico tra i 35 e i 44 anni. Il target al quale appartiene pure il premier Matteo Renzi al centro delle tensioni proprio per il prelievo del Dl Irpef-Rai. E così a guardare i dati si scopre che la Tv di Stato nel biennio 2013-2014 ha perduto il 17 per cento di pubblico giovanile, merce «pregiata» soprattutto per gli inserzionisti pubblicitari.

In buona sostanza, riprende Morcellini, «alla Rai sono rimasti gli anziani», circa il 43 per cento della platea televisiva. Un bacino considerevole che, però, non basta a colmare l’emorragia di telespettatori, e dei giovani che alla Tv di Stato «preferiscono Mediaset», e in generale l’offerta digitale. La concorrenza, dunque, diventa più attraente per il «popolo televisivo», tant’è che nel mese appena scorso (rispetto al maggio del 2013) la Rai ha lasciato sul campo il 3,45 per cento mentre Mediaset ha guadagnato l’1,44 per cento.

Dati (analizzati dalla società Barometro) alla mano, per la verità, il segno meno non risparmia nessuna delle reti pubbliche (digitali comprese a parte Boing +0,19%) anche se quello che maggiormente colpisce, (maggio 2013-maggio 2014) è quello di Raiuno. L’ammiraglia pubblica perde l’1,76 per cento, mentre il primo canale del Biscione segna un +1,83 per cento. Certo, si potrà obiettare che maggio è solo uno dei dodici mesi del calendario, ma le reti di viale Mazzini nel periodo gennaio-maggio 2014 sono scese per la prima volta sotto la linea del 40 per cento: nel 2013 erano infatti al 40,2% e l’anno ancora prima al 40,03%. Una scivolata di 3 punti percentuali (anche lo scorsa share di Sanremo non ha giovato), che nel medio termine è destinata a ripercuotersi anche sul fronte degli introiti pubblicitari.

Insomma, «mamma Rai» perde colpi, «anche perché - riprende Morcellini - non è agile nelle decisioni e rischia di restare avvitata in una crisi da invecchiamento». Ma non basta. Perché i dati dimostrano che la fascia di «età renziana» preferisce «proprio un’altro tipo di Tv»: fatta di opportunità multimediali, interazione, confronto. E questo vale, sia per la platea maschile che per quella femminile.

Nel biennio 2012-2014 la Rai, infatti, ha perduto oltre il 2 per cento del pubblico femminile, che se sommati a quello maschile fanno oltre 365mila spettatori in meno. Cifre che per alcuni potranno apparire insignificanti ma che, in realtà, fanno la fortuna commerciale di numerose realtà digitali: a cominciare da Cielo che ha raddoppiato in un anno lo share, o a Discovery che con Dmax e Realtime è passata dal 5,21% al 5,87%.

PAOLO FESTUCCIA


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venerdì 16 maggio 2014

Sforbiciata agli stipendi RAI

LA STAMPA

Italia

Rai, sforbiciata

agli stipendi

di presidente e Dg

parola d’ordine «tagli». Questione che ha monopolizzato il dibattito sulla Rai da quando il governo Renzi ha deciso di recuperare 150 milioni di euro proprio dal canone della Tv pubblica. In chiave spending review, intanto, Viale Mazzini si porta avanti con il lavoro. Su proposta del dg Luigi Gubitosi, il cda ha deciso che il tetto massimo di 240mila euro imposto dall’esecutivo agli stipendi dei dirigenti pubblici si applicherà anche alla Rai. Proprio mentre, al Senato, piovono emendamenti trasversali per evitare la cura dimagrante (i 150 milioni) prescritta alla Tv di Stato dall’articolo 21 del dl Irpef.

Capitolo stipendi. La sforbiciata, approvata ieri dal Cda riguarderà, oltre al presidente Anna Maria Tarantola e al dg Gubitosi, anche altre 43 persone tra dirigenti e top manager. Come il vice dg Antonio Marano, l’ex dg Lorenza Lei, il direttore di Raiuno Giancarlo Leone e il direttore del Tg1 Mario Orfeo. Una misura che il Consiglio d’amministrazione della Rai ha votato «in via precauzionale». Motivo: il tetto di 240mila euro, comprendendo non solo gli stipendi ma anche i benefit, rende complesso il calcolo. Più semplice, invece, quello degli emolumenti dei circa 300 dirigenti: tre (tra cui Gubitosi che guadagna 650mila euro l’anno) percepiscono più di 500mila euro, uno tra 400 e 500mila, 4 tra 300 e 400mila, 34 tra 200 e 300mila, 190 tra 100 e 200mila, 68 al di sotto dei 100mila.

Dalla stanza del Cda di Viale Mazzini all’Aula del Senato, mentre il presidente della Vigilanza Roberto Fico continua a puntare il dito contro la «svendita» di Raiway, fioccano gli emendamenti alla norma del decreto Irpef che prevede la decurtazione di 150 milioni alle competenze dello Stato in favore della Rai per finanziare gli 80 euro di bonus in busta paga per 10 milioni di lavoratori dipendenti. Da quelli presentati da Pd, Lega e Sel, che puntano alla soppressione dell’articolo 21 del dl. Agli altri, firmati FI e M5S che ne chiedono la sostituzione con altre misure. Un altro emendamento, a firma Salvatore Margiotta (Pd), chiede invece di rimpiazzare il taglio di 150 milioni con il 50% del recupero dell’evasione del canone. Intanto, un’inchiesta de «L’Espresso» in edicola oggi rivela l’esistenza di tre inchieste (una dell’Antitrust e due della Procura di Roma) sugli sprechi della Tv pubblica.

antonio pitoni