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martedì 20 agosto 2013

Alaa Al-Aswany: "i Fratelli musulmani diversi da Al-Qaeda per grado, non per natura"

Alaa Al-Aswany: "L'Egitto è un paese progressista. La gente si è pentita dei Fratelli musulmani" L'intervista di Huffpost allo scrittore egiziano

Per commentare i massacri che stanno insanguinando le strade egiziane, abbiamo incontrato nel suo studio dentistico nel centro del Cairo, lo scrittore egiziano Alaa Al-Aswany. Ha partecipato all'occupazione di piazza Tahrir nei giorni delle rivolte del 2011 e si torva ora in prima linea contro i Fratelli musulmani. Aswany è autore di classici come Palazzo Yacoubian e Chicago, mentre uscirà in Italia il prossimo annoThe cars club: romanzo sull'Egitto durante la colonizzazione inglese.

Come valuta lo sgombero dei sit-in islamisti?

I Fratelli musulmani hanno organizzato assembramenti e dispongono ampiamente di armi. Ho notizie di spari contro alcuni ufficiali di polizia. Ovviamente mi dispiace per i morti, ma le manifestazioni della Fratellanza non sono pacifiche: si tratta di terroristi che hanno torturato e rapito persone, come emerge da un documento di Amnesty International. La polizia è sostenuta da gruppi di civili per proteggere la gente. Egiziani, esercito e polizia sono contro i terroristi.

Parla da intellettuale, che deve avere una visione più progressista della società in cui vive?

Gli intellettuali devono essere più progressisti della società per definizione. I Fratelli musulmani hanno avuto l'opportunità di dimostrare di aver abbandonato la violenza, ma la stanno usando per ragioni tattiche. La differenza tra Fratellanza e al-Qaeda è nel grado non nella natura. I Fratelli rispetto al movimento terroristico internazionale hanno un doppio volto: una componente tattico-politica e il terrorismo in tasca. La gente li ha votati perché pensava che avessero il diritto di avere una possibilità. Ma alla manifestazione del 30 giugno scorso molti hanno dimostrato di essersi pentiti del voto espresso.

Tra i tentativi di cambiamento, come valuta i siluramenti al ministero della Cultura?

Sono andato a sostenere i miei colleghi nelle manifestazioni di maggio avanti al ministero. Posso dire con sicurezza che i Fratelli non hanno rimosso il direttore dell'Opera House per ripulire il ministero dalla corruzione ma per imporre il loro concetto di cultura: un'idea fascista, contraria all'arte. Dal 1928 ad oggi i Fratelli musulmani si sono dimostrati incapaci di presentare un singolo poeta o scrittore.

Fino a che punto è in atto in Egitto un cambiamento dei costumi delle donne di classe media?

La Rivoluzione è un cambiamento umano, in cui le persone diventano esseri diversi. Chi manifesta ora in strada contro il terrorismo è diverso da chi era per strada all'epoca di Mubarak. In Egitto c'è sempre stata un'interpretazione progressista dell'Islam, veicolata da intellettuali religiosi come Mohammed Abduh. Per il wahabismo invece la donna è uno strumento di piacere: serve alla procreazione o è una tentazione. L'Egitto è influenzato negativamente dalla visione wahabita, diffusa prima della rivoluzione, che disumanizza il corpo della donna per il piacere dell'uomo. Per cui, se posso toccarla e poi scappare via, colgo l'occasione e lo faccio. Durante la rivoluzione, la metà dei manifestanti che dormivano in piazza Tahrir era composto da donne e non ci sono state molestie. Per fermare la partecipazione delle donne nelle manifestazioni invece la polizia prima e gli islamisti poi hanno organizzato una forma di repressione, usando criminali sin dal 2005, ma questi episodi non hanno una matrice sessuale ma di censura politica premeditata.

Lei ha criticato la partecipazione degli analfabeti al voto?

Non avevo detto che gli analfabeti non avrebbero dovuto votare, ma che prima di farlo venisse spiegata loro la Costituzione. I Fratelli musulmani usano la misera della popolazione. Aiutano la gente non per carità ma per fare politica. Hanno comprato centinaia di migliaia di voti, spendendo milioni per carne e cibo, perché non promuovono mai un progetto contro l'analfabetismo? Rubano il voto dei poveri.

Crede che il movimento Tamarrod sia connivente con il vecchio regime?

Io sono un feloul (retaggio del vecchio regime, scherza Aswany). Conosco i leader del movimento: Abdel Aziz, ha partecipato per 5 anni ai miei seminari; Mahmoud Badr ha votato per Morsi. Avevo predetto: "questa campagna cambierà l'Egitto". Tutti, dal mio autista ai poveri in strada, hanno fatto una copia e firmato. I giovani leader hanno chiesto alle Nazioni Unite di controllare i documenti. L'esercito ha capito che i Fratelli sono dei terroristi e avrebbero ucciso persone per strada. E così la rivoluzione è stata sostenuta dall'esercito. Non c'è democrazia senza diritto di ritirare la fiducia ad un presidente eletto. Morsi con il decreto presidenziale ha tentato di mettere le decisioni del presidente al di sopra della legge. Lo stesso è avvenuto in Perù con Alberto Fujimori. Ma in quel caso gli Stati uniti hanno parlato di colpo presidenziale contro la democrazia.

Il 3 luglio scorso si è svolto un colpo di stato in Egitto?

Per chi sostiene Israele, gli Stati Uniti e l’Islam politico si tratta di un colpo di stato. Con 30 milioni di persone in strada come si fa a parlare di colpo di stato? Al contrario, nel 1952 è stato un colpo di stato per definizione che è diventato una rivoluzione quando è stato sostenuto dal popolo: Gamal Abdel Nasser ha guidato prima un movimento che ha rimosso il re Farouk e poi è stato sostenuto dagli egiziani. Il 30 giugno è stata la terza ondata della rivoluzione: in un primo momento Mubarak è stato costretto in prigione, in secondo luogo c’è stata la resistenza dei giovani rivoluzionari contro i massacri dell’ex giunta militare, e ora la rivolta contro i Fratelli musulmani, sostenuta dal regime. Chi è con Israele, gli Stati Uniti e l’Islam politico non lo ammetterà mai che c’è stata una rivoluzione. In un mio articolo ho parlato della necessità che facciano un “esercizio pratico per vedere il sole”.

Lei è un uomo di sinistra, crede che il nuovo governo abbia a cuore i diritti dei lavoratori?

Non mi piacciono tutti i politici che compongono il governo, ma si tratta di un esecutivo transitorio, i ministri sono professionisti di destra. La performance e la visione di questo governo non sono chiare. È necessario invece approvare la Costituzione e procedere a elezioni al più presto. Le autorità egiziane sono di destra, sono imperialiste, capitaliste. Io credo nel controllo dello stato: non si può lasciare la gente nella miseria e chiamare questo Stato.

Perché gli Stati Uniti mantengono una posizione ambigua sugli eventi in Egitto?

Hanno investito nei Fratelli, il loro calcolo era che i Fratelli rappresentasserol’Egitto, si aspettavano che rimanessero al potere per trenta anni. Quello che è successo è uno shock per loro, cercano di fare pressioni sulle autorità permantenere qualcosa del potere dei Fratelli e tenerli in politica. John McCain è venuto a dire cose offensive agli egiziani (parlando di golpe, ndr), Kerry invece ha detto che non è stato un colpo di stato: sono pressioni sulle autorità egiziane per continuare a tenere i Fratelli in campo. La polizia di Morsi ha ucciso 52 persone a Port Said, Kerry lo stesso giorno ha incontrato Morsi e non ha detto una sola parola per criticarlo.

Non teme che si torni ad un governo militare?

Non sono preoccupato di un governo militare perché credo negli egiziani, sono stati capaci di mandare in prigione due presidenti in due anni. Nessuno potrà creare una nuova dittatura qui. Sisi è intervenuto per un senso di dovere verso l’Egitto. Avevano ottenuto tutto, la Costituzione ha mantenuto i privilegi dell’esercito, i progetti, senza nessuna supervisione. Non c’era motivo per i generali di prendersi questo rischio. Hanno pensato che i Fratelli musulmani stessero facendo qualcosa di male al Paese: per esempio nel Sinai abbiamo scoperto che sostenevano i terroristi. Sisi non ha iniziato la rivoluzione, l’esercito invece ha protetto le masse. L’esercito ha difeso il paese. Io ho sempre criticato la giunta militare, mi hanno accusato 12 volte in processi militari anche per distruzione dell’immagine del Paese, ma ora sostengo il governo dell’esercito.


lunedì 19 agosto 2013

È così perdiamo anche i turisti dell'Egitto...

LA STAMPA

Italia

L’Italia si perde i turisti dell’Egitto

Chi aveva già prenotato le ferie, costretto a scegliere altre mete. Ma sono Grecia, Spagna e Turchia

Lo «sconsiglio» della Farnesina sul mar Rosso porta confusione tra i vacanzieri di tutto il mondo spiaggiati, o decisi a farlo, sulle sabbie egiziane. Turisti impazziti e anche i tour operator e le agenzie di viaggio che devono cercare di trovare nuove mete last minute. Sono circa 15 mila gli italiani rientrati dall’Egitto in questo fine settimana. Altre 15-19 mila persone sarebbero dovute partire a loro volta per le località turistiche dell’Egitto, come riferisce il presidente di Fiavet, la Federazione delle agenzie di viaggio aderente a Confcommercio, Fortunato Giovannoni, secondo cui i danni per gli operatori sono tra i 30 e i 50 milioni. Pochissimi i «pronti a tutto» che decidono di partire comunque. Gli altri devono correre ai ripari, oppure rimandare la vacanza.

Stessa situazione per i turisti delle altre nazionalità, russi in testa (sono 50mila in fuga). Le mete di «rimpiazzo» più gettonate sono Grecia, Spagna, Turchia. In Italia «competono» riviera romagnola e qualche località della Sardegna. Il problema sono i costi visto che una vacanza in Mar Rosso in strutture con ogni genere di comfort, pieds dans l’eau, può costare anche solo 400 euro per una settimana.

D’altronde, come sottolinea l’ultimo Rapporto del World Economic Forum, la competitività dell’Italia in campo turistico è bassa. Siamo fuori dalla top ten, ventiseiesimo posto (recupera una posizione rispetto al 2011) a livello mondiale, diciottesimo in Europa. Competitività bassa a causa del sistema di norme farraginoso e del livello dei prezzi dell’offerta. Insomma l’Italia non è ancora in grado di promuovere in maniera efficace l’industria turistica. E se guardiamo alla normativa generale di riferimento e alla governance politico-amministrativa, l’Italia si ritrova fanalino di coda nel mondo: al 100° posto su 140 posizioni. Rispetto alla competitività dei prezzi simo al 134° posto. E non aiuta la diffusione dei dati di Hotels.com secondo cui nel 2012 l’isola Capri è risultata tra le destinazioni più care al mondo.

Bocciati anche per la flessibilità sul lavoro (132° posto), formazione del personale (121°), sostenibilità ambientale (119°), tassazione (137°). E la tassa di soggiorno non aiuta.

Visto che la prospettiva è un’impraticabilità del Mediterraneo che lambisce il Nord Africa (almeno nel breve, medio termine) l’Italia rischia di non entrare nel nuovo giro di mete turistiche top per i vacanzieri con budget limitato. I turisti russi (l’Egitto nel 2012 ne ha accolti quasi un milione mezzo) prediligono Turchia, Egitto, Spagna e Grecia. L’Italia per i russi ha un forte fascino ma privilegiano di più lo stile di vita che le bellezze culturali. Stesso discorso per gli ucraini, popolazione in forte crescita tra i viaggiatori. Secondo Yeremenko & Partners, uno dei più importanti tour operator ucraini, le vendite dei pacchetti per l’Italia nel 2012 sono aumentate di oltre 10-12 per cento e lo stesso è previsto per il 2013. Le mete classiche sono Roma, Firenze, Venezia, Milano e Napoli. Ci sarebbe interesse per altre destinazioni, soprattutto in Sicilia e in Calabria, ma viene lamentata la mancanza di adeguati collegamenti aerei.

«È necessario sviluppare ed incrementare il maggior numero di voli diretti», spiegava a inizio estate Andrea Babbi, direttore generale dell’Enit, l’Agenzia nazionale del turismo.

Sono i tedeschi i maggiori visitatori del nostro Paese, e da loro, da chi deve rinunciare al Mar Rosso, potrebbero arrivare prenotazioni per le località turistiche italiane. In questo caso la preferenza va alla costa adriatica, più organizzata e meno costosa. Al top le località della Riviera Romagnola che contano alberghi a poco prezzo, ottima cucina e divertimenti per bambini, ragazzini e nottambuli. I dati Enit mostrano che in Italia le destinazioni più gettonate sono le città di interesse storico e artistico che attirano la maggior parte dei visitatori (45%), seguite dalle località di mare con il 17% e montagna (22%). Ma la Spagna ha accelerato e conquistato la leadership mondiale, per le risorse culturali, mentre l’Italia è relegata al settimo posto, come evidenzia il Rapporto Wef.

maria corbi


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giovedì 15 agosto 2013

Il fallimento dell'islamismo moderato

LA STAMPAweb

Cultura

Il fallimento dell’islamismo moderato

Quello che si temeva è avvenuto: l’esercito egiziano ha dato inizio - con l’uso delle armi e con l’impiego di mezzi blindati e bulldozer – alle operazioni per lo sgombero degli accampamenti allestiti dagli aderenti al movimento dei Fratelli Musulmani per protestare contro il colpo di Stato e l’arresto del presidente Morsi e di altri dirigenti del movimento.

Si registrano già centinaia di vittime, sia al Cairo che in altre località, e fra i morti ci sono anche giornalisti stranieri (fra cui un cameraman di Sky). Vi sono pochi dubbi sull’esito della repressione militare. Gli accampamenti verranno di certo smantellati, e il potere del generale al-Sisi ne risulterà rafforzato. Intanto, è stato proclamato lo stato di emergenza, che fornirà all’esercito ulteriori strumenti di controllo e repressione.

Diventa così sempre più difficile definire l’intervento militare come qualcosa di diverso da un colpo di Stato.

Non si tratta di disquisizioni politologiche, ma di semplice constatazione di fatti reali – fatti che rendono insostenibile la tesi del “golpe per la democrazia”, a meno di non volere parafrasare quel colonnello americano che in Vietnam, dopo che un villaggio era stato raso al suolo dall’aviazione, aveva detto: “E’ stato necessario distruggere il villaggio per salvarlo”.

Un golpe non certo democratico – scrive d’altra parte il professor Parsi sul Sole-24 Ore – bensì rivoluzionario. E cita il parallelo del «18 Brumaio» di Napoleone. Bonapartismo: in fondo niente di nuovo, e soprattutto niente di nuovo in Egitto, da Nasser (e prima di lui Neguib) a Sadat a Mubarak.

Dovremmo quindi abbandonare i moralismi e rassegnarci al fatto che in una prospettiva storica la rivoluzione ha spesso bisogno di essere promossa con la violenza armata. La «levatrice della Storia», come dicevano i leninisti.

Non credo che fosse quello che prevedevamo, e speravamo, quando avevamo salutato con grande simpatia ed entusiasmo la Primavera Araba.

Colpisce anzi la sorprendente volubilità di gran parte dell’opinione pubblica occidentale che, dopo aver dato anche troppo credito all’ipotesi dell’islamismo moderato, adesso prende per buone le assicurazioni di un esercito che proclama la propria intenzione di difendere la rivoluzione e l’interesse nazionale, ma in realtà è impegnato nella restaurazione del proprio potere sia politico che economico.

Certo, è assurdo – come ha fatto la Premio Nobel per la Pace yemenita Tawwakkul Karman – definire Morsi, personaggio mediocre, incompetente e autoritario, come un altro Mandela. Ma se le forze armate dovessero rovesciare tutti gli incompetenti con tendenze autoritarie avrebbero di certo un bel da fare, e non solo in Egitto.

Non sarà comunque facile, alla luce dello spargimento di sangue di oggi, e di quelli che probabilmente seguiranno (anche dopo le delusioni del governo Morsi i simpatizzanti dei Fratelli Musulmani sono pur sempre centinaia di migliaia), mantenere l’apertura di credito ai militari egiziani, quell’atteggiamento favorevole che, come scrive Adam Shatz nella London Review of Books, vede «un’improbabile coalizione di sostenitori del golpe, da Tony Blair a Bashar al-Assad, dai vertici dell’intelligence israeliana a, soprattutto, Arabia Saudita ed Emirati».

Diventerà anche difficile per i liberali egiziani, che hanno aderito al golpe in odio ai Fratelli Musulmani, continuare a sostenere i militari, almeno apertamente. Infatti, come aveva minacciato nel caso i sit-on fossero stati smantellati con la forza, ieri sera il vice presidente El Baradei si è dimesso.

La questione islamista, in ogni caso, non è risolta. Ben diversa sarebbe stata una sconfitta elettorale, che avrebbe sanzionato un fallimento politico che ora viene mascherato, e addirittura nobilitato dalla brutale vittimizzazione degli islamisti prodotta dalla repressione violenta.

E’ in ogni caso estremamente difficile poter sperare che la futura vicenda politica dell’Egitto possa sfuggire ad un perverso ciclo di violenza. E’ subito inquietante la notizia di attacchi a case, negozi e chiese di cristiani copti, per gli islamisti capri espiatori ideali.

Faremmo anche bene a chiederci come mai i salafiti, islamisti radicali e apertamente antidemocratici che hanno sempre accusato i Fratelli Musulmani di essere degli illusi perché propongono una via pacifica all’islamismo, facciano parte della «improbabile coalizione» filogolpista.

Nulla di buono nemmeno per noi, sull’altra riva del Mediterraneo. Sembra che negli ultimi sbarchi di clandestini sulle nostre coste ci fossero molti siriani, ma anche egiziani. Non più quindi una emigrazione prodotta dalla miseria ma la fuga da conflitti e violenze.

Il fatto è che siamo tutti, sia europei che americani, incapaci di individuare una linea politica sostenibile: i militari non tornano indietro, mentre una loro sconfessione aperta comporterebbe (soprattutto per Washington) la sospensione di aiuti senza i quali l’Egitto sprofonderebbe nel caos più totale. L’idea di un islamismo moderato ha subito un duplice colpo: da un lato il fallimento dell’esperienza di governo e dall’altro il rovesciamento violento di un governo islamista democraticamente eletto, che ha indebolito ulteriormente la già tenue ipotesi di una via pacifica.

I liberali, quelli che avevamo sperato potessero svolgere un ruolo importante dopo la caduta di Mubarak, sono numericamente deboli e vittime di una pesante contraddizione: come si fa a difendere democrazia e laicità con i carri armati?

La crisi egiziana è solo all’inizio.

Roberto Toscano


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