Italia
Minoranza dem
maltrattata
Ma il ribaltone
non è possibile
Alla direzione del Pd in cui si doveva discutere del magro risultato elettorale del centrosinistra nel primo appuntamento con le urne dopo il congresso, Renzi ha maltrattato la minoranza capeggiata dal ministro di Giustizia Orlando e ha avuto parole dure anche per quello della Cultura Franceschini, formalmente, ma solo formalmente ormai, suo principale alleato congressuale, ma di fatto collocatosi a metà tra maggioranza e minoranza.
Se esistessero ancora i partiti e se il Pd non fosse ormai una sorta di comitato elettorale renziano, si sarebbe potuto dire che dopo la sconfitta dell’11 giugno, si stanno creando le condizioni per un ribaltone della segreteria. Ma non è così. Sia nella relazione che nella replica (quest’ultima molto più dura) Renzi ha ricordato a tutti che è stato appena eletto in una tornata di primarie a cui hanno partecipato quasi due milioni di elettori: ed è a loro, non ai capicorrente, che il segretario intende rispondere, mobilitandoli personalmente per la nuova campagna elettorale, e soprattutto scegliendosi i candidati al di fuori della spartizione percentuale adoperata le volte precedenti, e a mala pena mascherata l’ultima volta con una finta tornata di “parlamentarie”.
Quanto alle alleanze, all’Ulivo e all’Unione, che in verità sono stati evocati come spettri anche da quelli che li considerano ancora una prospettiva possibile, Renzi, ormai proiettato in una logica proporzionale, ragiona solo in termini di Pd, farà la campagna per il Pd, è convinto che il Pd alle politiche possa rimontare, e i conti veri vuol farli solo alla fine. Non perché tenga nascosta la carta di un nuovo accordo di governo con Berlusconi, che ha esplicitamente smentito, ma perché punta a far arrivare primo il suo partito per poter dare le carte dopo il voto.
Pur condiviso dalla maggioranza renziana blindata della direzione (e Franceschini, benché in dissenso, ha evitato di contarsi e ha votato insieme ai suoi la relazione), un programma del genere spaventa. Anche nelle file renziane, insomma, ci si chiede cosa succederebbe se la presa elettorale di Renzi, com’è già accaduto dal referendum costituzionale in poi, dovesse rivelarsi meno forte del previsto e, dopo essersi tagliato tutti i ponti alle spalle, il Pd si ritrovasse all’indomani delle elezioni senza un piano B e soprattutto con la concreta possibilità di finire all’opposizione, in mancanza di alleanze e in presenza di un centrodestra tornato in buona salute. Per questo, la direzione di ieri, come tutte quelle da tre anni a questa parte, avrà sicuramente un secondo tempo.
Marcello
Sorgi