ebook di Fulvio Romano

venerdì 7 luglio 2017

Sempre più scarso e inquinato Così l’oro blu scatenerà i conflitti (Mercalli)

LA STAMPA

Italia

Sempre più scarso e inquinato

Così l’oro blu scatenerà i conflitti 

La qualità si sta degradando e la potabilizzazione è un costo

Servono investimenti infrastrutturali e piani di accumulo

Di acqua sul pianeta ce n’è tanta e salata, ma il problema sta nella piccola frazione di quella dolce che possiamo utilizzare per usi civili, agricoli, industriali e ricreativi: meno dell’uno per cento. 

Fortunatamente non si consuma, è costantemente rinnovata dal ciclo dell’evaporazione e delle precipitazioni, ma è la sua qualità che si sta sempre più degradando: usiamo acqua pura e la restituiamo sporca. Una parte dell’inquinamento è biodegradabile ma vi sono migliaia di composti chimici di sintesi, tossici e persistenti, che da meno di cent’anni hanno iniziato a impestare tanto i ghiacciai polari quanto le falde profonde. Le “chiare fresche et dolci acque” che Petrarca cantava nel 1340 sono ormai rare, e tocca spendere sempre maggior impegno, tecnologia ed energia per potabilizzare e depurare l’acqua che fluisce nelle nostre case. Tutto questo porrebbe già una sfida di mantenimento, se non ci fosse pure il cambiamento climatico a sparigliare le carte: con l’aumento di temperatura atteso nei prossimi decenni, anche a parità di precipitazioni, l’evaporazione cresce e così pure i consumi d’acqua. 

Ma se cambierà anche il percorso delle perturbazioni atmosferiche, allora pure la distribuzione mensile e la quantità di pioggia e neve potranno cambiare. Il Mediterraneo è molto sensibile a queste variazioni, un “hot-spot” climatico: se l’Accordo di Parigi non venisse rispettato, le temperature estive della pianura padana potrebbero aumentare anche di 6-8 gradi a fine secolo, e le piogge ridursi del 30-50 percento, uno scenario che porterebbe i campi di mais lungo il Po a trasformarsi in un’arida piana pakistana. I sempre più accurati modelli di simulazione del clima lo ripetono invano da anni, come lo studio “Hydrological simulation of Po River discharge under climate change scenarios” apparso su “Science of The Total Environment” a firma dei ricercatori del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici, con buona pace delle sparate negazioniste dell’ultraottuagenario Zichichi. I primi sintomi del cambiamento climatico li stiamo osservando già ora: in Italia nell’ultimo secolo la temperatura è salita di 1,5 °C, i ghiacciai alpini si sono dimezzati e ogni anno perdono oltre un metro di spessore, la neve – vera riserva idrica di Alpi e Appennini – fonde con oltre due settimane di anticipo rispetto a trent’anni fa, privando i fiumi di acqua proprio d’estate, quando ne avrebbero più bisogno. A partire dal 2003 le estati italiane si sono arroventate e mettono sotto stress idrico vaste aree del paese, come sta accadendo ora nel piacentino dove negli ultimi 12 mesi sono caduti appena 420 mm di pioggia, metà del normale, e praticamente pari merito con il minimo assoluto di 413 mm del luglio 1883–giugno 1884, ma allora faceva più fresco e si usava meno acqua! Le strategie di mitigazione e adattamento al riscaldamento globale devono dunque essere messe in atto prima possibile, soprattutto nel settore idrico dove gli investimenti infrastrutturali sono consistenti e necessitano di tempi lunghi per essere realizzati. 

Dovremo programmare un più efficace accumulo dell’acqua per uso agricolo e potabile nelle stagioni invernale e primaverile, quando piove e nevica in montagna, attraverso invasi piccoli e grandi, accoppiati alla produzione di energia idroelettrica con pompaggio, così da immagazzinare acqua nei momenti di esubero di produzione fotovoltaica e turbinarla quando ve ne è richiesta. Dovremo mantenere zone di salvaguardia assoluta delle falde di buona qualità per evitare inquinamenti da fitofarmaci, solventi industriali, percolati di discarica. Dovremo contenere le perdite delle reti idrauliche e introdurre sistemi di efficienza nella distribuzione dell’acqua, nonché cisterne per la raccolta di acqua piovana destinata a usi meno nobili del potabile, come l’irrigazione degli orti e gli sciacquoni dei wc (lasciando perdere il prato all’inglese e il lavaggio dell’auto, che quando di acqua ce n’è poca possono aspettare). E poi un grande investimento culturale e politico per prevenire i conflitti, che inevitabilmente sorgeranno quando l’acqua sarà meno abbondante e tutti la pretenderanno. Si chiama resilienza e bisogna costruirla prima dell’emergenza, dopo sarà tardi.

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luca mercalli


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