Italia
Quando i virus facevano strage di bambini
Una tragedia secolare oggi dimenticata e vinta solo grazie al trionfo dei vaccini
Una tragedia secolare oggi dimenticata e vinta solo grazie al trionfo dei vaccini
Niente come le polemiche di questi giorni su vaccini e vaccinazioni esigerebbero, e subito, che si uscisse dall’orizzonte limitato dello scontro politico e dalla contemporaneità per voltarsi indietro a recuperare la «memoria perduta» di un mondo senza difese. In cui erano parte della vita quotidiana e in una misura inimmaginabile, oggi in Occidente, le malattie e la morte, dovuta a malattie infettive che hanno perso per noi, anche grazie ai vaccini, ogni risonanza minacciosa.
Ma non sarebbe male riportare alla ribalta, a vantaggio degli immemori, i rischi delle tante infezioni che un tempo svuotavano le culle e facevano impennare i tassi della mortalità neonatale e infantile. Nel primo Ottocento un decimo dei nati soccombeva nel primo anno di vita e un quarto non arrivava a compiere un anno. Quel secolo - che pure vede tanti progressi nella Sanità - si chiude con una strage di bambini sotto i 5 anni: nel 1900 si contano 4060 morti di difterite, 1000 di scarlattina, 8827 di morbillo e ben 52.669 di «malattie particolari della prima infanzia», per riprendere la generica indicazione dell’Istat. Malattie come il vaiolo, il morbillo, la febbre tifoide, la difterite , la pertosse, la scarlattina erano una minaccia costante.
Le infezioni trasmesse da individuo a individuo trovavano un terreno fertile: le epidemie «morbillose» e vaiolose viaggiavano di casa in casa, raggiungendo soprattutto i bambini. Estremamente contagiose, scarlattina e difterite erano un pericolo sempre in agguato. La morte di bambini e giovani - che sovvertiva la naturale gerarchia cronologica della vita - era un evento che non risparmiava case doviziose e famiglie agiate come quella di Alessandro Manzoni , colpito – tra il secondo e il quarto decennio dell’Ottocento – dal lutto per la perdita di ben otto figlie, tra cui una bambina di due anni e tre appena nate. Per quanto tutte le malattie contagiose rappresentassero una tremenda minaccia, il killer più temuto era il vaiolo: un male all’origine di una stratificazione di miti e superstizioni. Nei primi decenni del Settecento rappresentava una delle principali cause di morte: prima che la pratica della variolazione e poi la vaccinazione jenneriana si affermassero, poteva uccidere, in un solo anno, migliaia di persone. Fino al Settecento, stando ad alcune stime, 60 milioni di individui (tra vittime e «sfigurati») furono colpiti solo in Europa. Tutti erano esposti. Al contrario della peste, il vaiolo non risparmiava le classi privilegiate e le famiglie regnanti. In Francia, nel 1711, ne morì il Delfino Luigi di Borbone, figlio del re Sole. Per gli Asburgo Lorena il vaiolo era «un nemico ereditario della famiglia imperiale», come disse Maria Teresa d’Austria, che perse, a causa di quel flagello, tre dei suoi figli, tra cui il cadetto Carlo Giuseppe nel 1761. Il vaiolo sovverte, tra Sette e Ottocento, linee di successione e precedenze. Nel 1799, Vittorio Emanuele I di Savoia perse l’unico figlio maschio, Carlo Emanuele.
Il vaiolo rappresentava un’ossessione onnipresente ed era massimamente temuto, non solo per la minaccia di morte che si portava dietro, ma perché deformava, determinava complicanze a carico della congiuntiva, provocando cecità, lasciava nei sopravvissuti cicatrici deturpanti in viso.
La speranza di una vittoria sul vaiolo si profila solo alla fine del secolo delle Rivoluzioni e il vaccino antivaioloso, scoperto dal medico inglese Jenner, produce una svolta che avrebbe cambiato il corso della medicina e della storia. Per la prima volta era lecito confidare di raggiungere - grazie all’inoculazione del vaccino - «la disparizione dello sterminatore veleno , sicchè di questo non resti che la memoria di passata sventura», scriveva uno degli «apostoli della vaccinazione». Ma per «eradicare» il vaiolo sarebbero stati necessari due secoli e una lunga battaglia per portare avanti la vaccinazione.
Ora viviamo in un mondo lontano anni luce da quello in cui tante malattie uccidevano con rapidità e ferocia: cerchiamo di ricordarcelo.
Eugenia Tognotti