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mercoledì 2 agosto 2017

le regole per il premier che verrà

LA STAMPA

Cultura

le regole

per il premier

che verrà

C’è un modo efficace per far credere all’opinione pubblica che una affermazione sia vera, anche se è del tutto falsa: quello di ripeterla ossessivamente e, per di più, con il tono di chi ribadisce un’ovvietà contro la quale nessuno potrebbe obiettare. Cultori assidui di tale trappola propagandistica sono, in questi giorni, soprattutto i leader di quei partiti che ambiscono al primo posto nella classifica delle prossime elezioni, Pd e Movimento 5 stelle. Costoro sostengono che spetti a chi guida la formazione politica che abbia raccolto più voti la poltrona di Palazzo Chigi. 

Peccato che questa tesi, irrefutabile in un sistema maggioritario, sia, in modo altrettanto irrefutabile, clamorosamente sbagliata in quello proporzionale. Nel primo, è affidato direttamente ai cittadini il compito di indicare il capo del futuro governo, nel secondo, sono i partiti che segnalano al presidente della Repubblica chi è in grado di raccogliere su di sé i consensi della maggioranza nei due rami del Parlamento.

La storia della nostra Repubblica, del resto, è troppo recente per essere dimenticata dai nostri fintamente smemorati leader. Nel sistema proporzionale, in vigore dal dopoguerra fino alla «rivoluzione maggioritaria», chiamiamola così, degli Anni Novanta, Craxi governò il Paese con circa l’undici per cento dei voti ottenuti dal Psi e, addirittura, Spadolini inaugurò le presidenze «laiche» del Consiglio con il tre per cento di consensi al suo partito, quello repubblicano.

Al contrario, Berlusconi e Prodi si alternarono a palazzo Chigi in virtù della maggioranza relativa ottenuta da uno dei due schieramenti di cui erano i leader.

Ecco perché con l’unico sistema di voto che la Corte Costituzionale ha reso praticabile e che i nostri partiti, nonostante i ripetuti appelli di Mattarella, non sono riusciti a modificare, quello spiccatamente proporzionale, la regola del «chi arriva primo, governa» ha il fascino della semplicità, ma il difetto di non avere i requisiti per raggiungere l’obbiettivo, cioè la maggioranza in Parlamento.

I leader dei partiti più grandi potrebbero sicuramente rendere valida tale regola con una intesa che riformasse in senso maggioritario il sistema elettorale risultante dalla sentenza della Corte. Tutti, esperti sondaggisti, acuti commentatori, saggi politici si proclamano allarmati dal rischio di una assoluta ingovernabilità dell’Italia, nella prossima legislatura, proprio a causa di un meccanismo di voto proporzionale applicato a un assetto sostanzialmente tripolare della nostra politica. Un futuro che, nell’ipotesi migliore, quella che potrebbe evitare un immediato ritorno dei cittadini al voto, vedrebbe un governo debolissimo, condannato all’immobilismo dai contrasti tra due schieramenti costretti a stare insieme per raggiungere più del 50 per cento dei voti in Parlamento, ma con visioni e programmi del tutto diversi.

Una prospettiva davvero funesta in questi tempi assai difficili per una Italia con una posizione molto scomoda: dal punto di vista geografico, perché ponte troppo affollato tra Africa ed Europa, da quello economico, perché fanalino di coda nella ripresa continentale, da quello politico, perché non più importante Paese di frontiera nella sfida tra Ovest ed Est del mondo, ma nazione che rischia l’irrilevanza strategica nei nuovi equilibri internazionali.

In queste condizioni, l’Italia ha bisogno di governi stabili, guidati da leader la cui autorevolezza nasca soprattutto da consensi elettorali ampi da parte dei cittadini. Se la nostra classe politica ritiene, com’è ragionevole, che questo risultato si possa ottenere con un sistema maggioritario, lo approvi. Se non è capace, o non vuole farlo, truccare le regole non vale.

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Luigi La Spina


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