ebook di Fulvio Romano

martedì 30 maggio 2017

Rusconi: L'illusione della stabilità alla tedesca

LA STAMPA

Cultura

L’illusione

della stabilità

alla tedesca

è improprio se non addirittura truffaldino identificare come «modello tedesco» la semplice adozione di un sistema proporzionale con lo sbarramento al 5%. Si lascia intendere che in questo modo si ottiene l’agognata stabilità e solidità del sistema politico nel suo insieme. Saremmo come la Germania, appunto, a prescindere dalle critiche che da molti mesi vengono sistematicamente rivolte a Berlino.

Il modello elettorale tedesco è più complicato di quanto non si dica. Ogni elettore dispone di due voti: uno per il collegio uninominale (quindi nominativo), l’altro per il partito. Questo secondo voto determina, su base proporzionale con la soglia del 5 per cento, il numero di seggi spettanti a ciascun partito. In seguito a complessi meccanismi di aggiustamento, i consensi delle liste rimaste escluse possono andare a vantaggio dei partiti più grandi, mentre il numero dei deputati diventa variabile. 

E’ difficile far capire questi meccanismi nel nostro dibattito pubblico fissato esclusivamente sullo sbarramento del 5%, con discussioni astratte sulla equità di questa soglia rispetto ad una del 4 o del 3%. Senza contare la complicazione del premio di maggioranza, del tutto assente in Germania.

Insomma abbiamo una soluzione all’italiana contrabbandata per soluzione alla tedesca.  I veri punti di solidità del sistema tedesco sono altri, primo fra tutti la «sfiducia costruttiva». Il Parlamento, cioè, non può sfiduciare un esecutivo se non è immediatamente disponibile un altro esecutivo in grado di godere della nuova fiducia. Assolutamente rilevante poi è la posizione, il ruolo e le competenze del cancelliere, che non sono omologhe a quelle del nostro presidente del Consiglio. Il cancelliere tedesco infatti nomina e revoca, di fatto, i singoli ministri, soprattutto decide in piena autonomia le linee guida della politica del suo governo. Decisivo poi è il ruolo del Bundesrat, il Consiglio federale, costituito dai rappresentanti dei Länder che hanno competenze legislative determinanti in settori attinenti le singole aree regionali (un autentico «Senato delle regioni», quale si sarebbe potuto istituire anche nel nostro sistema e ben diverso da quello prefigurato nella abortita riforma costituzionale).

Da non dimenticare infine è il ruolo della Corte Costituzionale, garante attiva della democraticità costituzionale dei partiti, che ha portato nel passato all’esclusione dalla comunità politica del partito neo-nazista ( e originariamente anche del partito comunista). Oggi è sotto osservazione la formazione cosiddetta populista «Alternative für Deutschland», anche se non sono ancora emersi motivi per interventi limitativi della sua azione. 

Non approfondisco qui ulteriormente gli aspetti istituzionali/costituzionali. Mi preme invece sottolineare altri fattori a fronte agli argomenti e allo stile del nostro dibattito pubblico. 

Il primo aspetto riguarda la Grande coalizione evocata da alcuni quale destino quasi obbligato del sistema tedesco. «Grande coalizione» è sinonimo di cooperazione sistematica tra i due grandi partiti storici democratico-cristiani (Cdu e Csu) e la socialdemocrazia (Spd). Con la memoria corta di oggi, si pensa ai due ultimi governi guidati dalla cancelliera Angela Merkel e già si specula sulla possibilità che se ne formi una analoga dopo le elezioni del settembre 2017. Ma le possibilità di coalizione sperimentate in passato e possibili in futuro sono anche altre. 

Non è il caso di ripercorrere qui la storia della Bundesrepublick. Non dimentichiamo che la prima Grande coalizione fu quella guidata da Kurt Georg Kiesinger dal 1966 al 1969, sostituita poi da una diversa coalizione tra socialdemocratici e liberali, guidati da Willy Brandt fino al 1974. Ad essa sono seguite altre esperienze, compresa quella verde-socialdemocratica di Schroeder e Josckha Fischer del 1998-2005, cui avrebbero fatto seguito i cancellierati della Merkel. 

In breve, se c’è una caratteristica del «sistema tedesco» è la realistica disponibilità a prevedere coalizioni di diversi colori - tutte basate sulla piena lealtà costituzionale e sul reciproco rispetto tra i partiti di governo e l’opposizione. Coalizioni basate sulla cultura del consenso democratico. Tutto il contrario del clima di reciproco sospetto e denigrazione che sembra caratterizzare da troppo tempo la politica italiana. 

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Gian Enrico Rusconi


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lunedì 22 maggio 2017

La terra dell'olivo non si cura dell'uliveto storico della Garbella. (Ndr)

LA STAMPA

Imperia

Si trova a Garbella di Imperia: convenzione per gestirlo 

Oliveto sperimentale

Un appello per il sito

di importanza storica

Nato negli Anni ’30, è un “laboratorio” di piante

Si trova in regione Garbella, sulla strada per Poggi, ha una superficie di 14.507 metri quadrati e, quando negli anni Trenta lo aveva creato, il professor Carlo Carocci Buzi, eminente studioso, vi aveva messo a dimora 190 piantine di olivo di 14 varietà da olio e otto da tavola. Ma adesso, il destino dell’Oliveto sperimentale di Imperia patrimonio di cultura del territorio, è fortemente a rischio.

A lanciare l’allarme è Fabio Natta, il presidente della Provincia, l’ente che ne è proprietario: «Lo stato in cui si trova l’Oliveto è evidente e non possiamo fare finta di niente. La Provincia ha un presente incerto, il suo futuro lo è ancora più, e soprattutto è privo di risorse. Nel caso specifico l’ente ha difficoltà, perché non ha più funzioni legate all’Agricoltura e si trova così in un limbo indefinito. Ma una certezza c’è: la destinazione dell’Oliveto, un gioiello anche del cuore». 

Nessuna cessione o trasformazione d’uso, quindi, come qualcuno temeva? «La nostra amministrazione, rinnovata da poco, ma confermata in gran parte, ha detto in maniera forte e chiara che l’Oliveto sperimentale deve essere tutelato e valorizzato e qualsiasi altra destinazione diversa è da escludere, come del resto la vendita. Sarebbe un torto alla città, al territorio. Non ci limitiamo a dire non lo vendiamo ma abbiamo approvato di recente un regolamento per l’utilizzo dell’Oliveto, che evidenzia una serie di possibili modalità di utilizzo», assicura Natta.

La Provincia, attraverso una convenzione con qualche associazione (durata sette anni), punta «a mantenere la destinazione agricola e alla valorizzazione della pianta di ulivo in tutte le sue forme, anche di tipo sociale, culturale ed educativo».

E non dovrebbe essere diversamente una zona da sempre a larga vocazione olivicola, e dove si stima che le pietre impiegate nelle caratteristiche «fasce» abbiano un volume di quasi 140 milioni di metri cubi, l’equivalente di 80 piramidi di Cheope: quelle che Giovanni Boine, lo scrittore di cui ricorre il centenario, definiva «le nostre cattedrali».

A prendere posizione a favore dell’Oliveto è stata anche la Cumpagnia de l’Urivu, che in questo terreno ogni anno pianta due alberi di ulivo in onore di importanti personaggi locali (nel 2017, Sergio Lanteri, fondatore del Comitato San Giovanni e presidente dell’Accademia dello Stoccafisso, e la socia centenaria Emma Acquarone): «Intendiamo collaborare per promuovere questo sito unico. L’oliveto ha funzioni idrogeologiche e climatiche, e la scomparsa dell’olivo segnerebbe, dove non esistono alternative, la definitiva scomparsa della popolazione agricola», sostiene la presidente .

stefano delfino



sabato 13 maggio 2017

I "Piccoli inverni" di maggio nel tempo che fa e nel Folklore meteorologico

LA STAMPA

Cuneo

A Bernezzo i «Santi di ghiaccio»

Stasera alle 21, il Museo dei vecchi mestieri presenta al teatro parrocchiale di Bernezzo, «Gli Uvernèt di maggio. Le ultime cavalcate dei santi di ghiaccio», con L’esperto di meteorologia Fulvio Romano. [m. bo.]


martedì 9 maggio 2017

Bandiere blu, 27 nel 2017

LA STAMPA

Imperia

In vetta la provincia di Savona con 13 vessilli

Bandiere blu, 27 nel 2017

La Liguria è da record

Nell’Imperiese al top Bordighera, Taggia, S. Stefano e S. Lorenzo

Liguria da record per quanto riguarda qualità del mare e delle spiagge, La nostra regione si conferma infatti regina del mare eccellente arrivando a ben 27 bandiere blu per altrettante località, con due «new entry», Camogli in provincia di Genova e Bonassola in quella di La Spezia. A seguire, confermando la classifica dello scorso anno, la Toscana con 19 bandiere e le Marche con 17, staccando peraltro regioni come la Sardegna ferma a quota 11. In generale, comunque, la rilevazione di quest’anno induce all’ottimismo visto che su tutte le coste italiane è stato riscontrato un mare più pulito, tanto che le spiagge sulle quali sventolerà il vessillo blu assegnato dalla  dalla Foundation for Environmental Education (FEE) per questa trentesima edizione sono salite complessivamente a 342, di cui 163 a Comuni (13 in più rispetto a dodici mesi fa) e e 67 approdi turistici sulla base di 32 criteri relativi alla gestione sostenibile del territorio (dalla depurazione delle acque alla gestione dei rifiuti, dalle piste ciclabili agli spazi verdi, ai servizi degli stabilimenti balneari). 

 L’obiettivo principale del programma è quello di promuovere nei Comuni rivieraschi una conduzione sostenibile del territorio, La Bandiera Blu è infatti un riconoscimento internazionale istituito nel 1987, Anno europeo dell’ambiente, che viene assegnato in 73 paesi. 

A fare incetta di bandiere, anche quest’anno, la provincia di Savona con ben 13 riconoscimenti, questo l’elenco completo delle spiagge liguri che avranno l’onore di far sventolare la Bandiera Blu:

IMPERIA

Bordighera (Capo Sant’Ampelio Zona Ovest e Capo Sant’Ampelio Zona Est), Taggia (Arma di Taggia), Santo Stefano al Mare (Baia Azzurra, Il Vascello), e San Lorenzo al Mare (U Nostromu - Prima Punta, Baia delle Vele).

SAVONA

Ceriale (Litorale), Borghetto Santo Spirito (Litorale), Loano (Spiaggia Levante Porto, Spiaggia di Ponente), Pietra Ligure (Ponente), Finale Ligure (Spiaggia di Malpasso-Baia dei Saraceni, Finalmarina, Finalpia, Spiaggia del Porto, Varigotti, Castelletto San Donato), Noli (Capo Noli-Zona Vittoria-Zona Anita-Chiariventi), Spotorno (Lido), Bergeggi (Il Faro, Villaggio del Sole), Savona (Fornaci), Albissola Marina (Lido), Albisola Superiore (Lido), Celle Ligure (Levante e Ponente) e Varazze (Arrestra, Ponente Teiro, Levante Teiro, Piani D’Invrea).

GENOVA

Camogli, new entry (Spiaggia Camogli Centro – Levante, San Fruttuoso), Santa Margherita Ligure (Scogliera Pagana, Punta Pedale, Paraggi, Zona Milite Ignoto), Chiavari (Zona Gli Scogli), Lavagna (Lungomare) e Moneglia (Centrale/La Secca/Levante).

LA SPEZIA

Framura (Fornaci), Bonassola (new entry), Levanto (Ghiararo, Spiaggia Est La Pietra), Lerici (Venere Azzurra, Lido, San Giorgio, Eco del Mare, Fiascherino, Baia Blu, Colombo) e Ameglia (Fiumaretta).

Soddisfazione è stata espressa dal presidente della Regione Giovanni Toti e dall’assessore al Turismo Gianni Berrino:  «Anche quest’anno la nostra regione ha conquistato il record italiano di Bandiere Blu, volano di sviluppo e di turismo, dimostrandosi protagonista del turismo italiano e internazionale. I segni di crescita ci sono tutti, come dimostrato anche dalla grande affluenza di turisti, italiani e stranieri, anche nei recenti ponti primaverili» ha sottolineato Toti mentre per l’assessore Berrino questo record  «riconosce la qualità del nostro mare e dei servizi di accoglienza dei nostri operatori turistici, fiore all’occhiello del comparto balneare a livello nazionale».

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miriana rebaudo


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venerdì 5 maggio 2017

Quando i virus facevano strage di bambini

LA STAMPA

Italia

Quando i virus facevano strage di bambini

Una tragedia secolare oggi dimenticata e vinta solo grazie al trionfo dei vaccini

Niente come le polemiche di questi giorni su vaccini e vaccinazioni esigerebbero, e subito, che si uscisse dall’orizzonte limitato dello scontro politico e dalla contemporaneità per voltarsi indietro a recuperare la «memoria perduta» di un mondo senza difese. In cui erano parte della vita quotidiana e in una misura inimmaginabile, oggi in Occidente, le malattie e la morte, dovuta a malattie infettive che hanno perso per noi, anche grazie ai vaccini, ogni risonanza minacciosa. 

Ma non sarebbe male riportare alla ribalta, a vantaggio degli immemori, i rischi delle tante infezioni che un tempo svuotavano le culle e facevano impennare i tassi della mortalità neonatale e infantile. Nel primo Ottocento un decimo dei nati soccombeva nel primo anno di vita e un quarto non arrivava a compiere un anno. Quel secolo - che pure vede tanti progressi nella Sanità - si chiude con una strage di bambini sotto i 5 anni: nel 1900 si contano 4060 morti di difterite, 1000 di scarlattina, 8827 di morbillo e ben 52.669 di «malattie particolari della prima infanzia», per riprendere la generica indicazione dell’Istat. Malattie come il vaiolo, il morbillo, la febbre tifoide, la difterite , la pertosse, la scarlattina erano una minaccia costante.

Le infezioni trasmesse da individuo a individuo trovavano un terreno fertile: le epidemie «morbillose» e vaiolose viaggiavano di casa in casa, raggiungendo soprattutto i bambini. Estremamente contagiose, scarlattina e difterite erano un pericolo sempre in agguato. La morte di bambini e giovani - che sovvertiva la naturale gerarchia cronologica della vita - era un evento che non risparmiava case doviziose e famiglie agiate come quella di Alessandro Manzoni , colpito – tra il secondo e il quarto decennio dell’Ottocento – dal lutto per la perdita di ben otto figlie, tra cui una bambina di due anni e tre appena nate. Per quanto tutte le malattie contagiose rappresentassero una tremenda minaccia, il killer più temuto era il vaiolo: un male all’origine di una stratificazione di miti e superstizioni. Nei primi decenni del Settecento rappresentava una delle principali cause di morte: prima che la pratica della variolazione e poi la vaccinazione jenneriana si affermassero, poteva uccidere, in un solo anno, migliaia di persone. Fino al Settecento, stando ad alcune stime, 60 milioni di individui (tra vittime e «sfigurati») furono colpiti solo in Europa. Tutti erano esposti. Al contrario della peste, il vaiolo non risparmiava le classi privilegiate e le famiglie regnanti. In Francia, nel 1711, ne morì il Delfino Luigi di Borbone, figlio del re Sole. Per gli Asburgo Lorena il vaiolo era «un nemico ereditario della famiglia imperiale», come disse Maria Teresa d’Austria, che perse, a causa di quel flagello, tre dei suoi figli, tra cui il cadetto Carlo Giuseppe nel 1761. Il vaiolo sovverte, tra Sette e Ottocento, linee di successione e precedenze. Nel 1799, Vittorio Emanuele I di Savoia perse l’unico figlio maschio, Carlo Emanuele.

Il vaiolo rappresentava un’ossessione onnipresente ed era massimamente temuto, non solo per la minaccia di morte che si portava dietro, ma perché deformava, determinava complicanze a carico della congiuntiva, provocando cecità, lasciava nei sopravvissuti cicatrici deturpanti in viso. 

La speranza di una vittoria sul vaiolo si profila solo alla fine del secolo delle Rivoluzioni e il vaccino antivaioloso, scoperto dal medico inglese Jenner, produce una svolta che avrebbe cambiato il corso della medicina e della storia. Per la prima volta era lecito confidare di raggiungere - grazie all’inoculazione del vaccino - «la disparizione dello sterminatore veleno , sicchè di questo non resti che la memoria di passata sventura», scriveva uno degli «apostoli della vaccinazione». Ma per «eradicare» il vaiolo sarebbero stati necessari due secoli e una lunga battaglia per portare avanti la vaccinazione.

Ora viviamo in un mondo lontano anni luce da quello in cui tante malattie uccidevano con rapidità e ferocia: cerchiamo di ricordarcelo.

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Eugenia Tognotti


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giovedì 4 maggio 2017

"Dottor Beppe e Mister Grillo"

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Prima Pagina

Dr Beppe e Mr Grillo

Effettivamente è scorretto dire che Beppe Grillo è contro i vaccini. Così come è scorretto dire che è a favore dei vaccini. Diciamo che c’è Dr Beppe e Mr Grillo. Dr Beppe, ottobre 1998: «Là dove hanno fatto i vaccini le malattie sono scomparse, dove non li hanno fatti sono scomparse lo stesso». Mr Grillo, maggio 2017: «Noi antivaccini? È una balla». In fondo non è difficile distinguere. Dr Beppe, ottobre 2008: «Lo psiconano Berlusconi è un padrone che ha preso ispirazione dal suo modello, Putin». Mr Grillo, gennaio 2017: «La politica ha bisogno di statisti forti come Putin». Dr Beppe, aprile 2013: «Perché non votate Rodotà? Troppo colto? Onesto? Indipendente?». Mr Grillo, maggio 2013: «Rodotà, un ottuagenario miracolato dalla Rete». Dr Beppe, ottobre 2013: «Abolire il reato di clandestinità è un invito ai migranti a imbarcarsi per l’Italia». Mr Grillo, agosto 2015: «Il reato di immigrazione clandestina è inutile, una perdita di tempo». Dr Beppe, novembre 2008: «Obama è venuto dalla Rete, come noi, cambierà il mondo». Mr Grillo, marzo 2014: «Obama viene qui a contrabbandare la sua economia, il suo gas, i suoi F35, e noi zitti». Dr Beppe, marzo 2015: «Fuori gli indagati dallo Stato!». Mr Grillo, dicembre 2016: «Gli avvisi di garanzia sono atti dovuti, non ci fermeranno così». Dr Beppe febbraio 2013: «Non ho mai detto di uscire dall’euro». Mr Grillo, dicembre 2014: «Il problema vero non è uscire dall’euro, è uscire il più velocemente possibile». Chi vuole si prende Dr Beppe, chi vuole Mr Grillo, e chiusa lì. 

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Mattia Feltri



mercoledì 3 maggio 2017

Le regole sulla nostra pelle (ndr: la vergogna di Cagliari e del calcio italiano)

LA STAMPA

Prima Pagina

Le regole sulla nostra pelle

Le regole sono regole, e dicono che i calciatori non discutono col pubblico. Nemmeno se ti chiami Sulley Muntari, e sei un calciatore ghanese a cui una parte (piccola) del pubblico di Cagliari sta dedicando coretti a imitare il verso della scimmia. Nemmeno se fra quelli c’è un bambino coi genitori a cui, per dare una lezione di garbo, regali la maglietta. E neanche se il pubblico va avanti, e l’arbitro ti richiama, e tu gli fai notare che dovrebbe sospendere la partita. Non puoi perché l’arbitro non la sospende, secondo le regole, perché i cori sono sparuti, e se insisti l’arbitro ti ammonisce. E se ti scocci, e gridi questo è il mio colore, e abbandoni il campo, vieni espulso e squalificato per un turno. Le regole sono regole, sebbene il commissario Onu per i diritti umani abbia detto che Muntari è stato esemplare, e il Guardian abbia scritto che negli stadi italiani c’è qualche problema di razzismo. Le regole sono regole, persino in Italia, dove più sono sciocche e sorde e cieche e più trovano probabilità di applicazione. Lo sa l’allenatore di Muntari, Zdenek Zeman, che ha difeso il giocatore ma ha aggiunto che non ci si fa giustizia da sé. E lo sapeva meglio di tutti Rosa Parks, la donna di colore che nel 1955 si fece giustizia da sé, violò una regola e non cedette il posto sull’autobus a un bianco. E indignò l’America. E l’aiutò a cambiare. 

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Mattia Feltri


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