LA STAMPA
Cultura
Il fascino
immortale
della Dc
Abituati da tempo immemorabile alle campagne elettorali a base di accuse e insulti irripetibili, salutiamo con una certa sorpresa l’irrompere del termine «democristiano», usato ovviamente in senso spregiativo dai molti che non sanno o non ricordano più cosa fu e cosa rappresentò, nel bene e nel male, la lunga epoca italiana della Dc, coincidente con i 46 anni della Prima Repubblica, ma sopravvissuta anche dopo, non foss’altro come mentalità e come scuola di politica che ha lasciato ancora in giro e in servizio parecchi professionisti. Se solo si riflette sull’eco avuta dai novant’anni di Ciriaco De Mita, compiuti ieri con accompagnamento di interviste e ricordi in cui ha potuto tranquillamente rievocare i suoi anni di segretario e presidente del consiglio democristiano come una sorta di età dell’oro, si capisce che in fondo anche quelli che adoperano in negativo, magari senza averlo vissuto o conosciuto, la parola Dc, sotto sotto ne discutono con rispetto e perfino con un certo rimpianto, anche se magari non sanno di cosa parlano.
Solo Bersani, che accusa Renzi di aver cancellato la sinistra dal Pd e di lavorare per ricostruire la Democrazia cristiana, ammette che quella vera, e non la parodia di questi giorni, era una cosa seria.
Per il resto, Salvini accusa Di Maio di essere diventato democristiano, e poi insieme a Meloni rivolge la stessa accusa a Berlusconi, che in anni non troppo lontani, quando era un imprenditore, diceva di se stesso di essere «socialista a Milano», in quanto amico di Craxi, e «democristiano a Roma», dov’era facile e frequente vederlo salire e scendere per le scale di Piazza del Gesù, il palazzo-simbolo del potere scudocrociato, ormai dismesso. Poi c’è Tabacci, finalmente un vero democristiano, che con una mossa da maestro, offrendo il simbolo del suo mini-partito Centro democratico, uno degli eredi sopravvissuti in Parlamento, della vecchia «Balena bianca», ha consentito alla Bonino e ai radicali, cioè agli autori della prima vera grande sconfitta della Dc nel referendum del divorzio del 1974, di presentarsi alle elezioni in alleanza con il Pd. E la Boschi che, non fosse solo per ragioni geografiche (è nata in provincia di Arezzo,) ha mostrato varie volte in pubblico nostalgia di Fanfani.
Ovviamente in tutto questo gran parlare che si fa della Democrazia cristiana, anche a vanvera, non c’è alcun tentativo di approfondimento. I convegni che in tutti questi anni si sono svolti tra le facoltà di Scienze politiche e l’Istituto Sturzo sono spesso andati deserti, o hanno visto la partecipazione di un pubblico anziano e in qualche modo malinconico. Sarebbe interessante chiedere a Salvini, a Di Maio e Di Battista (Grillo no, scoperto da Pippo Baudo, la conosce e trovò solidarietà nella Dc quando i socialisti, trent’anni fa, lo cacciarono dalla Rai) cosa sanno, cos’hanno capito di quell’era ormai così lontana, dopo quasi un quarto di secolo di Seconda Repubblica. E anche a Renzi, nato politicamente tra gli scout, che erano uno dei tanti mondi collaterali, come le Acli, la Confagricoltura, la Confcommercio e un po’ tutto quel che cominciava per «Conf», esclusa la Confindustria, del sistema copernicano della Dc. Quando il leader Pd, allora ancora a Palazzo Chigi, nel 2016 accettò la sfida di De Mita in un faccia a faccia sul referendum costituzionale moderato da Mentana, la sensazione era di un confronto privo di sincronizzazione, l’ex-segretario Dc, con i suoi famosi «ragionamendi», essendo ancora fortemente radicato nel Novecento, e Renzi invece apparendo come il prodotto più recente e più estremo di una politica tutta giocata sulla comunicazione e gli slogan a effetto. Tal che, in un primo momento, Matteo provò a mostrare rispetto per Ciriaco, aspettando il passaggio adatto a dargli il colpo fatale. Ma a sorpresa, quando il momento arrivò, e l’anziano fu accusato dal giovane di aver cambiato posizione dal centrosinistra al centrodestra pur di restare in ballo, De Mita non si scompose: «Sei un miserabile - replicò - io sono nato e morirò democristiano, mentre tu si vede che non credi in niente!».
Va da sé che De Mita, e nessuno dei vecchi leader dello scudocrociato, avrebbero sottoposto a referendum la riforma istituzionale. I referendum, come le commissioni di inchiesta (altro errore di cui Renzi, vedi le banche, non ha fatto in tempo a pentirsi), nella grammatica democristiana erano da evitare finché possibile, e al limite da concedere come sfogatoio alle opposizioni, in cambio della loro tradizionale collaborazione parlamentare. Nel quasi mezzo secolo (con qualche breve eccezione) di governi a guida Dc, la maggior preoccupazione dei presidenti del consiglio che si alternavano a Palazzo Chigi, da De Gasperi a Moro, Rumor, Colombo, Andreotti, Forlani e Cossiga, fino appunto a De Mita, con una turnazione assai frequente, erano i rapporti con Togliatti, Longo, Berlinguer, segretari del maggior partito comunista dell’Occidente, escluso per ragioni internazionali, il cosiddetto «fattore K», dalla partecipazione agli esecutivi. Relazioni sempre eccellenti, al di là di qualche cedimento alla propaganda, subito recuperato in nome del confronto considerato sempre necessario e della comune esperienza alla Costituente.
Può tornare, tutto questo? Difficile, se non impossibile, diciamo la verità. Ma una cosa su cui dovrebbero riflettere i leader del nostro tempo, intenti ad accusarsi a vicenda di essere democristiani, è che il sistema proporzionale, restaurato con il Rosatellum e tuttora vissuto come un’incognita, spinge tutti al centro: infatti è quel che sta accadendo a Berlusconi e Renzi, inseguiti da Di Maio che teme con ogni evidenza di ritrovarsi emarginato. Il proporzionale, in altre parole, è l’esatto contrario del maggioritario e del bipolarismo, la cornice in cui inutilmente gli stessi leader fingono ancora di muoversi, ben sapendo che non è più quel tempo. Così, se è difficile, o è quasi escluso che nella Terza Repubblica tornerà la Dc, per gli incoscienti che hanno fatto un passo indietro senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze, sarà indispensabile imparare, riscoprire, ridiventare anche loro un po’ democristiani.
BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI Marcello Sorgi
Abituati da tempo immemorabile alle campagne elettorali a base di accuse e insulti irripetibili, salutiamo con una certa sorpresa l’irrompere del termine «democristiano», usato ovviamente in senso spregiativo dai molti che non sanno o non ricordano più cosa fu e cosa rappresentò, nel bene e nel male, la lunga epoca italiana della Dc, coincidente con i 46 anni della Prima Repubblica, ma sopravvissuta anche dopo, non foss’altro come mentalità e come scuola di politica che ha lasciato ancora in giro e in servizio parecchi professionisti. Se solo si riflette sull’eco avuta dai novant’anni di Ciriaco De Mita, compiuti ieri con accompagnamento di interviste e ricordi in cui ha potuto tranquillamente rievocare i suoi anni di segretario e presidente del consiglio democristiano come una sorta di età dell’oro, si capisce che in fondo anche quelli che adoperano in negativo, magari senza averlo vissuto o conosciuto, la parola Dc, sotto sotto ne discutono con rispetto e perfino con un certo rimpianto, anche se magari non sanno di cosa parlano.
Solo Bersani, che accusa Renzi di aver cancellato la sinistra dal Pd e di lavorare per ricostruire la Democrazia cristiana, ammette che quella vera, e non la parodia di questi giorni, era una cosa seria.
Per il resto, Salvini accusa Di Maio di essere diventato democristiano, e poi insieme a Meloni rivolge la stessa accusa a Berlusconi, che in anni non troppo lontani, quando era un imprenditore, diceva di se stesso di essere «socialista a Milano», in quanto amico di Craxi, e «democristiano a Roma», dov’era facile e frequente vederlo salire e scendere per le scale di Piazza del Gesù, il palazzo-simbolo del potere scudocrociato, ormai dismesso. Poi c’è Tabacci, finalmente un vero democristiano, che con una mossa da maestro, offrendo il simbolo del suo mini-partito Centro democratico, uno degli eredi sopravvissuti in Parlamento, della vecchia «Balena bianca», ha consentito alla Bonino e ai radicali, cioè agli autori della prima vera grande sconfitta della Dc nel referendum del divorzio del 1974, di presentarsi alle elezioni in alleanza con il Pd. E la Boschi che, non fosse solo per ragioni geografiche (è nata in provincia di Arezzo,) ha mostrato varie volte in pubblico nostalgia di Fanfani.
Ovviamente in tutto questo gran parlare che si fa della Democrazia cristiana, anche a vanvera, non c’è alcun tentativo di approfondimento. I convegni che in tutti questi anni si sono svolti tra le facoltà di Scienze politiche e l’Istituto Sturzo sono spesso andati deserti, o hanno visto la partecipazione di un pubblico anziano e in qualche modo malinconico. Sarebbe interessante chiedere a Salvini, a Di Maio e Di Battista (Grillo no, scoperto da Pippo Baudo, la conosce e trovò solidarietà nella Dc quando i socialisti, trent’anni fa, lo cacciarono dalla Rai) cosa sanno, cos’hanno capito di quell’era ormai così lontana, dopo quasi un quarto di secolo di Seconda Repubblica. E anche a Renzi, nato politicamente tra gli scout, che erano uno dei tanti mondi collaterali, come le Acli, la Confagricoltura, la Confcommercio e un po’ tutto quel che cominciava per «Conf», esclusa la Confindustria, del sistema copernicano della Dc. Quando il leader Pd, allora ancora a Palazzo Chigi, nel 2016 accettò la sfida di De Mita in un faccia a faccia sul referendum costituzionale moderato da Mentana, la sensazione era di un confronto privo di sincronizzazione, l’ex-segretario Dc, con i suoi famosi «ragionamendi», essendo ancora fortemente radicato nel Novecento, e Renzi invece apparendo come il prodotto più recente e più estremo di una politica tutta giocata sulla comunicazione e gli slogan a effetto. Tal che, in un primo momento, Matteo provò a mostrare rispetto per Ciriaco, aspettando il passaggio adatto a dargli il colpo fatale. Ma a sorpresa, quando il momento arrivò, e l’anziano fu accusato dal giovane di aver cambiato posizione dal centrosinistra al centrodestra pur di restare in ballo, De Mita non si scompose: «Sei un miserabile - replicò - io sono nato e morirò democristiano, mentre tu si vede che non credi in niente!».
Va da sé che De Mita, e nessuno dei vecchi leader dello scudocrociato, avrebbero sottoposto a referendum la riforma istituzionale. I referendum, come le commissioni di inchiesta (altro errore di cui Renzi, vedi le banche, non ha fatto in tempo a pentirsi), nella grammatica democristiana erano da evitare finché possibile, e al limite da concedere come sfogatoio alle opposizioni, in cambio della loro tradizionale collaborazione parlamentare. Nel quasi mezzo secolo (con qualche breve eccezione) di governi a guida Dc, la maggior preoccupazione dei presidenti del consiglio che si alternavano a Palazzo Chigi, da De Gasperi a Moro, Rumor, Colombo, Andreotti, Forlani e Cossiga, fino appunto a De Mita, con una turnazione assai frequente, erano i rapporti con Togliatti, Longo, Berlinguer, segretari del maggior partito comunista dell’Occidente, escluso per ragioni internazionali, il cosiddetto «fattore K», dalla partecipazione agli esecutivi. Relazioni sempre eccellenti, al di là di qualche cedimento alla propaganda, subito recuperato in nome del confronto considerato sempre necessario e della comune esperienza alla Costituente.
Può tornare, tutto questo? Difficile, se non impossibile, diciamo la verità. Ma una cosa su cui dovrebbero riflettere i leader del nostro tempo, intenti ad accusarsi a vicenda di essere democristiani, è che il sistema proporzionale, restaurato con il Rosatellum e tuttora vissuto come un’incognita, spinge tutti al centro: infatti è quel che sta accadendo a Berlusconi e Renzi, inseguiti da Di Maio che teme con ogni evidenza di ritrovarsi emarginato. Il proporzionale, in altre parole, è l’esatto contrario del maggioritario e del bipolarismo, la cornice in cui inutilmente gli stessi leader fingono ancora di muoversi, ben sapendo che non è più quel tempo. Così, se è difficile, o è quasi escluso che nella Terza Repubblica tornerà la Dc, per gli incoscienti che hanno fatto un passo indietro senza chiedersi quali sarebbero state le conseguenze, sarà indispensabile imparare, riscoprire, ridiventare anche loro un po’ democristiani.
Marcello Sorgi