ebook di Fulvio Romano

domenica 11 novembre 2018

una folla non populista e positiva. Massimiliano Panarari

LA STAMPA

Cultura

una folla

non populista

e positiva

Massimiliano panarari

Una piazza positiva, e pro-positiva negli intenti e nelle aspirazioni. E una piazza progressista, nel senso dell’impegno a sostenere le ragioni dello sviluppo e a testimoniare l’importanza (e la necessità) di una visione di progresso.

La piazza è uno dei luoghi fondamentali della politica, via via negletta nella stagione attuale divisa tra l’invocazione della (spesso assai più sedicente che reale) democrazia diretta e le zuffe nei forum virtuali dei social (o nei salotti tv di certi talk show). E, dunque, è interessante, e ovviamente non casuale, che una critica costruttiva e garbata - come tipico dello stile sabaudo - a certe politiche di immobilismo e arretramento propugnate dal governo neopopulista sia passata per lo spazio pubblico (e fisico) di piazza Castello. Dove, come inno di partenza, sono risuonate le note di una celebre canzone di Jovanotti, Io penso positivo, per mandare con chiarezza il messaggio di un clima d’opinione improntato appunto alla positività, e non pregiudizievole nei confronti della sindaca Chiara Appendino.

Quella (strapiena) di ieri è stata una piazza non ideologica - o, se si vuole, postideologica - che, a partire dai temi della Tav e delle infrastrutture, ha rimesso al centro del discorso pubblico il significato del progresso per una comunità immersa in un contesto di palese e inarrestabile interdipendenza (visto che la globalizzazione della circolazione di persone e merci non si ferma a colpi di antistorici «No»). Una piazza edificata, dal punto di vista sociale, sulla trasversalità (oltre che sull’assenza di vessilli e bandiere di partito), popolata di professionisti, imprenditori, lavoratori, studenti, professori, famiglie e singoli, e che si era prefissata l’obiettivo di restituire all’attenzione generale le opinioni di una maggioranza (finora) silente perché sovrastata da minoranze organizzate e alquanto rumorose nella loro advocacy (e, soprattutto, nella loro volontà di imporsi). E una piazza progressista in un’accezione che, andando giustappunto oltre la destra e la sinistra, ha invocato l’andare avanti e lo sviluppo contro l’ideologia del populismo reazionario e del sovranismo regressivo – resiliente, quindi, rispetto alla decrescita che conduce a un futuro di infelicità ed è pervasa di quella che Zygmunt Bauman ha chiamato retrotopia (un’utopia - che qui sarebbe meglio etichettare come distopia - con la testa rigidamente rivolta al passato).

Una piazza decisamente subpolitica - per dirla alla Ulrich Beck - poiché animata dall’associazionismo e dalle articolazioni della società civile (a partire dal gruppo di donne delle professioni che l’ha concepita e costruita) e fondata sulle idee forza della bontà del progresso, della società aperta, della scienza, della tecnologia e della condivisione e ripartizione collettiva del benessere che ne deriva. Una piazza pacifica ed europea (come lo è la città di Torino) rispetto alle arene del rancore e della rabbia che hanno caratterizzato sempre più massicciamente, dal «Vaffa day» di Grillo in avanti, una certa idea della partecipazione di folla in questa nostra Italia disorientata e postmoderna.

Insomma, una piazza dell’azione affermativa; e, dopo la sua bella prova di forza tranquilla, è ora lecito anche attendersi che l’energia positiva dell’Onda Sì Tav dia origine a una piattaforma di proposte fattive. E, dunque, «un’altra piazza è possibile», per giunta piena di sorrisi e compostezza.