ebook di Fulvio Romano

mercoledì 28 novembre 2018

a PROTESTA DIVENTA BOOMERANG ( Panarari)

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Cultura

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BOOMERANG

Massimiliano Panarari

Chi di Iena ferisce, di Iena perisce. Non si tratta di un film di Quentin Tarantino, ma della realtà della cronaca politica di queste giornate – o, forse, dell’iperrealtà che in epoca postmoderna risulta talvolta più reale del reale. E, di sicuro, lo scandalo che sta lambendo Luigi Di Maio, portato alla luce da Le Iene, si sta rivelando una vicenda piuttosto pulp per il vicepremier e ministro del Lavoro alle prese con un padre utilizzatore di lavoro nero nella propria ditta. I suoi numerosissimi sostenitori e follower invocano il principio per cui le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, ma nella fattispecie appare come una giustificazione «pelosa» e doppio-pesista, visto che il leader pentastellato ha costruito le sue fortune sull’invocazione assolutistica della virtù prepolitica dell’onestà, e ha ampiamente fatto ricorso all’argomento della colpevolezza genitoriale per attaccare il Pd. L’affaire familiare di Di Maio, con il doloroso balletto di «non so», prese di distanza e imbarazzi assume i tratti della nemesi. E conferma quanto il paradigma della neotv rimanga sempre rilevante e significativo in Italia nel dettare l’agenda politica (come aveva illustrato Umberto Eco, i cui scritti sul tema sono raccolti nell’antologia Sulla televisione, La nave di Teseo).

È precisamente una nemesi quella che va ora in scena (e in onda) perché il grillismo si rivela molto debitore dell’ideologia giustizialista, non solo nella sua versione politica – e di partito sponda di «una certa idea della magistratura» – ma anche (e, forse, specialmente) con riferimento alla giustizia fai da te e secondo i canoni della società dello spettacolo. Quella incarnatasi, giustappunto, in una serie di trasmissioni televisive – in primis, Striscia la notizia, Le Iene, e per qualche verso anche Chi l’ha visto? – da cui emerge una sostanziale sfiducia nei confronti della politica tradizionale e di establishment come strumento di risoluzione dei problemi, da sostituire nel nome di una ben maggiore efficacia ed efficienza tramite il piccolo schermo. Programmi di «infotainment 2.0» e «politica pop», come ha scritto lo studioso Gianpietro Mazzoleni – spesso imbevuti di intuizioni e trovate direttamente provenienti dall’armamentario del situazionismo – che si propongono con una funzione di denuncia e di servizio a favore dei cittadini; e che hanno contribuito in maniera potente alla costruzione del discorso pubblico del gentismo e di quel clima di opinione ispirato all’anti-politica di cui, non per caso, ha beneficiato innanzitutto il Movimento 5 Stelle. A partire, beninteso, dall’inoppugnabile dato di fatto di una corruzione praticamente endemica rispetto alla quale il neopopulismo si è presentato proprio come la ricetta utile a operare una bonifica. Ed ecco, così, Beppe Grillo che indossa i panni del «Gabibbo barbuto», e il giustizialismo neotelevisivo che ha fornito quadri dirigenti e frontman da inviare nei talk (come l’ex Iena Dino Giarrusso o l’ex «domatore di leoni» de La Gabbia Gianluigi Paragone). E, soprattutto, format comunicativi che si sono trasformati in «forma politica» e nell’informe e liquidissimo partito-movimento del M5S. E che ora si rivoltano contro i loro finora invincibili apprendisti stregoni, che hanno alimentato (e capitalizzato) la ribellione derivante dal disagio sociale e dal malcontento esistenziale. Un po’ come avvenne nella Rivoluzione francese, che divorò e spedì sulla ghigliottina gli stessi giacobini e montagnardi artefici del Terrore.

L’onda della contestazione, infatti, ha tutta l’aria di non fermarsi, e il cambio di paradigma che stiamo vivendo è esattamente quello dell’ingresso in un’era di neverending protest (la protesta infinita) alla ricerca permanente di nuovi imprenditori politici «contro». A meno di cambiare schema di gioco, e tipologia di offerta politica; ma gli (ex) antisistemici 5 Stelle, che ormai faticano sempre di più a scrollarsi di dosso la percezione di essere diventati anch’essi un pezzo del sistema, non sembrano esserne in grado, né volerlo davvero. 

@MPanarari